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Perché i piccoli peccati hanno molto peso

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Zoe Romanowsky - Aleteia - pubblicato il 12/07/16

Non bisogna essere paranoici – bensì consapevoli – per ciò che pensiamo e facciamo

Ma è davvero così determinante quella piccola bugia bianca detta prima? È un grosso problema procrastinare, non prenderti cura di te stesso oppure lamentarti? Elizabeth Scalia sostiene che sì, queste cose hanno importanza. Nel suo nuovo libro Little Sins Mean A Lot Scalia dimostra – con esempi dalla sua vita personale e dalle sue esperienze – che le piccole cattive abitudini di ogni giorno hanno un impatto grave sulla nostra vita spirituale e possono essere un ostacolo nel nostro cammino verso Dio. Scalia si è presa una piccola pausa dal suo lavoro di caporedattrice di Aleteia per raccontarmi un po’ del suo nuovo libro.

Il tuo libro mi ha fatto capire di essere una persona peggiore di quella che pensavo. Non vorrei ringraziarti, ma in realtà sento di doverlo fare perché questo libro potrebbe essere usato per fare un Esame di Coscienza. L’hai scritto con questo intento?

Mi spiace che ti senta una “persona peggiore” di ciò che pensavi di essere. Non sono d’accordo. So che sei una persona molto buona, sei soltanto una peccatrice. Come me, come ognuno di noi. E, lo dico seriamente, non era questa l’intenzione del libro, che ho tentato di mantenere quanto più leggero e umoristico possibile.

Ho scritto il libro perché eccessivamente in colpa per non averlo scritto prima (avevo infatti già detto, con riluttanza, che l’avrei fatto). Non mi è mai andata a genio l’idea di scrivere un libro su tutti i vari piccoli peccati, perché sapevo che mi avrebbe portata a guardare a tutte le mie cattive abitudini e a sentirmi dire – abbastanza comprensibilmente – “a cosa stavi pensando, scrivere un libro su questo argomento? Nessuno di noi vuole sentirne parlare, e inoltre… guarda te stessa, donna!” Quando l’editore ha inviato Little Sins a qualche amico per avere un feedback, uno di loro mi ha risposto subito, dicendo: “Beh, grazie tante! Mi piacevano i miei piccoli peccati, stavamo bene insieme ed era molto più facile concentrarmi sui grandi peccati del mondo là fuori piuttosto che guardare così da vicino dentro me”.

Ma sono contenta che alla fine il libro gli sia piaciuto, anche se ha continuato a mandarmi un messaggio pungente dopo ogni capitolo letto.

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Our Sunday Visitor Press

Il libro rende il lettore molto vulnerabile, utilizza esempi personali per illustrare le cattive abitudini di cui parli. Ti sei sentita diversa dopo aver finito di scriverlo? E se si, in che modo?

Hmm, diversa?. Forse, ma solo perché sono diventata consapevole di essere recalcitrante. Non posso più negare i miei peccati. A nessuno, e specialmente non a me stessa. Non posso prendermi in giro da sola. Quando mi rendo conto di cadere in uno dei peccati abituali della mia vita, non posso più far finta di agire inconsapevolmente. Adesso devo affrontare me stessa, devo affrontare il fatto di commettere intenzionalmente qualcosa che mi ero promessa di non fare. A volte la consapevolezza è tale da spingermi a fare un passo indietro, riconsiderare le mie azioni e fare una scelta diversa. Altre volte mi rendo conto di essere profondamente testarda e di continuare a cadere nella melma delle piccole azioni di cui ho parlato nella prima pagina. Come un piccolo elefante che si rotola in una pozzanghera.

Mi sento “diversa” anche perché nelle prove di ogni giorno – invece di odiarmi come facevo prima – mi sento grata per le piccole vittorie e ho maturato un atteggiamento più positivo verso le battaglie che dovrò affrontare nei giorni successivi. “Diversa” perché ho fatto spazio alla misericordia nella mia vita.

Come sei arrivata ai 13 peccati di cui parli?

All’inizio ne avevo in mente 12, per essere più “biblica”, ma mi sono resa conto che doveva esserci anche il Peccato di Omissione. E quello sarebbe stato un capitolo difficile da scrivere. Ma ho pensato che non voler guardare “ciò che non sono riuscita a fare” e l’impatto che questo ha avuto sugli altri (e a volte l’abitudine del non-fare ha avuto conseguenze molto serie) avrebbe portato anche altre persone a tralasciare questo aspetto. E dal momento che stavo facendo venire tutto a galla, avrei fatto meglio ad essere precisa ed esaustiva. Forse non sarò mai una santa, ma spero che almeno mi valga un po’ di Purgatorio!


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Un modo per lottare contro la svogliatezza – si legge nel libro – è di considerare tutto ciò che facciamo in un momento specifico come “opera di Dio”. Come possiamo abbracciare quel tipo di mentalità?

Questa è stata l’intuizione che ho apprezzato di più mentre scrivevo Little Sins. Prendo molto sul serio quello che faccio, ma non posso dire di essere state sempre impeccabilmente diligente nel pulire il frigo o nel rimuovere le erbacce dal giardino; c’è sempre qualcosa che sfugge oppure sono io che giudico sufficiente quanto appena fatto per potermi dedicare a qualcosa che voglio davvero fare: al mio vero lavoro, per intenderci. Man mano che scrivevo il libro mi sono però resa conto che non ho un “vero” lavoro; ho soltanto il lavoro che Dio mi ha dato da svolgere in un determinato momento (che quindi diventa opera di Dio e che, come tale, merita il massimo impegno). Lo credo sul serio. E questo fa la differenza. Purtroppo alcune piante del mio cortile sono comunque morte quest’anno, perché non ho annaffiato diligentemente come avrei dovuto.

Qual è la differenza tra un peccato e una cattiva abitudine?

Santa Teresa d’Avila diceva: “Non permettere ai tuoi peccati di diventare cattive abitudini”. Nel libro ho ripreso il concetto, aggiungendo anche l’approccio speculare: “Non permettere alle tue cattive abitudini di diventare peccati”. Confesso che non sempre sono in grado di distinguere le due cose con facilità: ma S. Teresa è un Dottore della Chiesa e se lei dice che c’è differenza, le credo. Potrei rispondere in questo modo: se S. Teresa si fosse rivolta a una suora che non era andata a Messa perché non se la sentiva, le avrebbe detto: “Sorella, non permettere al tuo peccato di diventare una cattiva abitudine”. In altre parole, prova a non farlo più.

Se si fosse invece rivolta a una suora un po’ con la testa sulle nuvole, che non ha sentito le campane che la invitavano ad andare a Messa, le avrebbe detto di non permettere alla cattiva abitudine dell’incoscienza – cioè di lasciarsi andare ai suoi sogni ad occhi aperti – di diventare un peccato. Il peccato di sostituirsi a Dio e all’adorazione.

Mi sembra di capire che siamo un po’ tutti colpevoli della maggior parte dei peccati di cui parli nel libro (almeno fino a un certo punto). Ma quali sono i peccati contro cui le persone lottano di più?

Penso che tu abbia ragione, non c’è nulla di nuovo sotto il sole, e non sono così speciale da avere peccati sensibilmente diversi da quelli di chiunque altro: procrastinazione, pettegolezzo, giudizio e sospetto, i peccati di omissione. L’intera discussione sui “piccoli” peccati gira attorno a quanto siano radicati in noi (per poi eventualmente diventare peccati mortali). Quando le persone mi chiedono quale sia la più grande espressione di idolatria, rispondo citando il zeitgeist – o “spirito del tempo” – e il modo in cui noi tutti lo serviamo ed educhiamo i nostri figli a servirlo. Contro quali peccati lottiamo di più? Forse con quello che chiamo “aggrapparci alla nostra narrativa oltre la sua utilità”, perché questo porta ad allargarsi nei tentacoli dei vizi capitali: superbia, avarizia, lussuria, invidia, ira, accidia e anche gola, che è uno di quei peccati in cui può cadere il magro così come il grasso.

Come facciamo a essere sicuri che prestare attenzione ai nostri piccoli peccati quotidiani non ci spinga ad essere troppo concentrati su noi stessi e sulle nostre inadeguatezze, oppure eccessivamente scrupolosi?

Nel libro metto in guardia contro la scrupolosità estrema, perché questa comporta altri problemi. Lo scopo del libro non è quello di renderci paranoici in ogni cosa che pensiamo e facciamo, ma semplicemente di renderci consapevoli che facciamo determinate cose. Penso che fare un esame di coscienza ogni giorno come prescritto da S. Ignazio sia il miglior tonico contro l’eccessiva scrupolosità, perché ci rende onesti davanti a Dio ma ci consente di ricevere la Sua misericordia. E se Dio può essere misericordiosi con noi – e lo è – allora possiamo riconoscerla e renderci conto che non siamo superiori a Dio, evitando di cadere nella tentazione di autocommiserarci e di sprofondare nel rimpianto. Non è un problema insormontabile se perdiamo il filo quando recitiamo il Rosario. Non è necessario riprendere tutto da capo e pregare nuovamente la decina, perché è l’intenzione che conta. Se siamo inciampati in un piccolo peccato ricorrente, va bene così: lo abbiamo visto, lo abbiamo riconosciuto e domani avremo un’altra occasione.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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