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Se il porno ha ucciso il desiderio

Venere di Botticelli

Public Domain

Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 27/06/16

Il fascino per la nudità è stato distrutto dalla sua mercificazione. Una riflessione di Massimo Recalcati.

Torniamo a proporre una delle riflessioni dello psicanalista Massimo Recalcati che settimanalmente su Repubblica mette a fuoco brevemente un argomento, una parola, un concetto in modo fortemente convincente, questa volta è la Nudità. Con sapienza Recalcati ci fa capire immediatamente come il nostro tempo, caratterizzato dal voyerismo, il nudo è il contrario del desiderio, e non a caso i disturbi della sessualità legati all’abuso di pornografia stanno diventando sempre di più oggetto di studio. Proprio l’idea che l’erotismo, che è una specificità dell’essere umano e della sua sessualità non più e non solo istintuale ma culturale, frutto del pensiero, dell’immaginazione è – aggiungeremmo noi – segno della benedizione di Dio. Tutto il contrario appunto dello svestimento compulsivo della pornografia dove tutto è visibile e nulla è più desiderabile davvero.

Se la nudità è qualcosa a cui si può giungere solo dopo una svestizione, se la sua manifestazione implica la caduta dei veli, allora il corpo animale non può incontrare mai il senso più profondo della nudità. Per questo nel mondo animale esiste una vita sessuale, ma non può esistere alcuna forma di erotismo. L’erotizzazione del corpo necessita la sua velatura. Il desiderio per accendersi esige una distanza, una lontananza dal suo oggetto. È quello che distingue l’immagine erotica – che è sempre almeno un po’ vestita – da quella brutalmente pornografica – che riproduce in primo piano la meccanica degli organi genitali. Il desiderio erotico non si mobilita dalla vista della nudità, ma solo dalla nudità intravista. È necessario che il corpo sia un po’ coperto per poter apparire davvero nudo. Un dettaglio scoperto del corpo è più attraente che la vista di un corpo nudo nella sua interezza. Il nudismo è totalmente privo di erotismo. Persegue illusoriamente un naturalismo che vorrebbe poter animalizzare l’uomo dimenticando che l’abito del linguaggio non è un abito che l’essere umano può togliere o mettere a suo piacimento. Il senso dell’osceno non scaturisce dall’erotismo – non c’è alcuna oscenità nella vita erotica –, ma nel corpo che vorrebbe manifestarsi come corpo nudo, libero dal linguaggio, corpo naturale.

Il nudismo – che si fa chiamare “naturalismo” – è quanto di più “anti umano” ci sia:

L’ideologia nudista non si accorge che nel nostro tempo l’oscenità non deriva più da una cultura repressiva che rende il corpo nudo un tabù, ma da un eccesso di nudità del corpo che rischia di estinguere lo slancio erotico del desiderio. È una constatazione facilmente condivisa: il nudo è divenuto un oggetto troppo prossimo per suscitare il desiderio. È il paradosso del tabù della nudità: quando il corpo nudo vuole essere nudo non è più un corpo nudo, ma solo una vita nuda, o, come direbbe Agamben, una “nuda vita”. Ne abbiamo una conferma in questa stagione dove le spiagge si popolano di corpi svestiti. Che cosa troviamo veramente osceno? Non certo l’erotismo o la bellezza del corpo, quanto piuttosto la presenza del corpo brutto, sgraziato, che, senza cura e senza alcun velo, si mostra placidamente perduto nella sua nuda vita: dormire, mangiare, sudare, esporsi al sole, bagnarsi nel mare.

Non a caso il nuovo imperativo morale non riguarda lo splendore dell’anima, ma quella asettica dei corpi, dove non devono essere presenti inestetismi di alcun tipo, imperfezioni, difetti, malattie…

È quello che accade assai più traumaticamente negli ospedali dove la malattia strazia, aggredisce i corpi denudandoli senza pietà. Qui la vita, diversamente che nella routine confortevole della spiaggia, è davvero drammaticamente nuda. Come accade nell’atrocità della guerra quando la sua violenza “sveste” brutalmente i corpi: viscere scoperte, ferite, mutilazioni. Il corpo è davvero osceno quando diviene un presagio di morte. È quello che Schindler’s List di Spielberg ci ha mostrato nell’ammucchiata caotica dei corpi degli ebrei nei campi di sterminio spogliati e sospinti a forza verso il forno crematorio.

Questa nostra repulsione per la bruttezza e la morte, costantemente velate entrambe, lasciate a distanza dei bambini che spesso non sanno più che fine hanno fatto i nonni morti perché non messi a contatto quella esperienza, ci indicano una difficoltà tipica dell’uomo contemporaneo: il pensarsi solo come un eterno presente. Quante coppie distrutte dall’incapacità di amarsi nelle imperfezioni? Distrutte non dalla nudità biblica – che è assenza di distanza tra le persone – ma dall’oscenità del “tutto e sempre”? Una riflessione che potrebbe essere un buon corollario della Amoris Laetitia

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