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Genocidio armeno, “ora non si può più negare”. Grazie a Benedetto XVI e Papa Francesco

Egitto riconoscimento genocidio armeno

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Genocidio armeno

Marinella Bandini - Aleteia - pubblicato il 23/06/16

Un libro di Franca Giansoldati contro il negazionismo: cominciare dalle scuole.

Un milione e mezzo di armeni in marcia verso il nulla. Accadeva 101 anni fa, alle porte dell’Europa, nelle stesse terre che oggi assistono ad altri massacri di innocenti. In “La marcia senza ritorno” la giornalista Franca Giansoldati racconta la storia del primo genocidio del XX secolo. “Più che passione è una battaglia civica” precisa. La battaglia di una figlia di partigiani emiliani contro il silenzio che per decenni ha avvolto queste vicende. La battaglia di una donna laureata in storia moderna che di tutto questo sapeva “poco o niente” finché non ci si è imbattuta un po’ per caso. “Il negazionismo non è lontano da noi. Nei libri di storia c’è un buco nei fatti che accaddero tra il 1915 e il 1920 all’interno dell’impero ottomano. Il tema viene condensato in mezzo capitolo, poche righe nell’ambito della I Guerra Mondiale, come un accessorio, senza arrivare alle radici di questo capitolo nero della nostra storia di europei”. Per questo Franca ha voluto un libro agile per una ampia divulgazione e documentato, pubblicato con Salerno, una casa editrice piccola ma autorevole. Per questo appena può va nelle scuole a incontrare i ragazzi, parla con loro: “È dalla scuola che bisogna cominciare”.

Nel ’94 Franca è stagista in una agenzia di stampa. Si occupa dei primi passi di una mozione per il riconoscimento del genocidio armeno da parte del Parlamento italiano, a firma del leghista Giancarlo Pagliarini, sposato alla figlia di una sopravvissuta. Per lei si apre un mondo. Comincia a raccogliere documentazione, a rendersi conto di quanto avvenuto, a spendersi perché sia conosciuto. La mozione viene approvata sei anni dopo, nel 2000, anche sull’onda della dichiarazione congiunta firmata pochi giorni prima da Giovanni Paolo II e il Catholicos degli armeni Karekin II, in cui compare la parola “genocidio”. Del resto, la Chiesa cattolica non ha mai fatto mancare il proprio sostegno al popolo armeno, da Benedetto XV, pontefice all’epoca dei fatti, a Benedetto XVI e Francesco. Quest’ultimo, dopo aver letto le bozze del libro, ha scritto alcune righe a Franca Giansoldati: “Auspico che la sua fatica di ricerca e documentazione trovi adeguato apprezzamento per un lavoro di inchiesta storica, preziosa al recupero della memoria quale forma di giustizia e via alla pacificazione”.

“Benedetto XV è un grande”. Franca Giansoldati ne racconta la visione profetica e la capacità diplomatica. “È stato l’unico capo di stato europeo che si è battuto come un leone per fermare i massacri. Si rendeva perfettamente conto delle dimensioni della cosa, quello che arrivava sul suo tavolo era agghiacciante”. Nel 1915, ben prima del Concilio Vaticano II e dell’ecumenismo, “non ha mai fatto distinzione tra gregoriani e cattolici, scrisse al sultano, organizzò una rete di diplomatici che anche finita la guerra cercò di sensibilizzare i governi sulla questione armena”. Al Papa che definì “inutile strage” la Guerra mondiale si ispirò Benedetto XVI: “Fu coraggioso e autentico profeta di pace (…). Sulle sue orme desidero porre il mio ministero a servizio della riconciliazione e dell’armonia tra gli uomini e i popoli”. E proprio “sotto l’impulso di Benedetto XVI e poi di Francesco, il gesuita Georges-Henry Ruyssen ha raccolto, catalogato e reso fruibili circa 20mila documenti sull’Armenia, relativi al periodo 1915-1923”, conservati in diversi archivi del Vaticano (Segreteria di Stato, Congregazione per le Chiese orientali, Propaganda fide).

“Grazie a questi due Papi abbiamo la possibilità di avere una documentazione totale”. Un lavoro che ha impegnato padre Ruyssen per sette anni, “dopo il quale è impossibile continuare a negare quello che è stato”. Lettere dei missionari, dossier diplomatici, carteggi degli ambasciatori, lettere di Benedetto XV alle cancellerie di tutta Europa, due lettere al sultano. E poi elenchi di generi di aiuto da cui si capisce l’entità della tragedia. Su tutte la lettera con cui il nunzio Angelo Dolci chiedeva 27.500 coperte per gli orfanotrofi. “Gli storici turchi sostengono che le cifre fornite dagli armeni sono eccessive. Probabilmente lo sono, ma per difetto: andando a leggere la documentazione si arriva a quasi a due milioni di persone”. Quando Franca racconta tutto questo nelle scuole, “i ragazzi non capiscono cosa può essere accaduto per scatenare tanto odio. Gli spiego lo scenario nel 1915 e prima ancora nel 1894, quando cominciano le persecuzioni contro gli armeni sotto il regno del sultano Hamid”. È l’epoca in cui cominciano a prendere piede le teorie nazionaliste. Anche la Turchia vuole eliminare gli elementi estranei. E chi più estraneo dei cristiani armeni?

Arriva la I Guerra Mondiale. “Gli armeni non sono di razza turca, non sono musulmani, in più sono una comunità coesa e facoltosa – e lo stato turco è sul lastrico dopo la campagna in Grecia. Con il fronte russo aperto e il timore di un complotto con il nemico cristiano, tutto congiura contro gli armeni. La Turchia pianifica la confisca dei loro beni e la loro eliminazione, con marce forzate nel deserto. Vicende che Ankara vuole rimangano sepolte sotto quella sabbia, pena la messa in discussione dell’identità della Turchia moderna”, che dei pianificatori del genocidio ha fatto eroi nazionali. Il libro di Franca Giansoldati doveva uscire nel 2015, centenario del Grande Male (Metz Yeghern) come lo chiamano gli armeni, esce invece adesso, a pochi giorni dal viaggio di Papa Francesco in Armenia, anche questo rimandato di un anno per le forti pressioni diplomatiche della Turchia. E se anche la parola “genocidio” sarà espunta dai suoi discorsi ufficiali rimane il messaggio di speranza e di pace che Papa Francesco depositerà ai piedi del memoriale e che porterà fin quasi al confine con la Turchia: dal monastero di Khor Virap, da cui partì l’azione evangelizzatrice di Gregorio l’Illuminatore, libererà due colombe verso l’Ararat, che dalla Turchia domina l’orizzonte.

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