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Sandri: “Il Papa in Armenia? Un gesto di affetto e gratitudine”

Vatican Insider - pubblicato il 13/06/16

Nell’imminenza del viaggio di papa Francesco in Armenia, dal 24 al 26 giugno, abbiamo incontrato il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, che accompagnerà il pontefice e che ben conosce questo paese. 

Eminenza, qual è il tratto principale del viaggio del papa in Armenia?

«Penso che questa visita abbia anzitutto il carattere di pellegrinaggio: quello del Papa è un gesto di affetto e ammirazione per questa antichissima Chiesa che ha una secolare storia di fedeltà a Cristo, è un atto di devozione per questo paese, il primo a diventare cristiano, nel 301, quando san Gregorio l’Illuminatore guidò alla conversione e al battesimo l’intera nazione. Il Papa porterà la sua riconoscenza e la sua stima a un popolo che è stato plasmato dallo spirito cristiano e ha saputo custodire il tesoro prezioso della fede e della propria identità per secoli. È su questa forza spirituale che l’Armenia potrà costruire un futuro di pace e di speranza. 

Ritengo inoltre che questo viaggio sarà molto importante anche per tutti gli armeni della diaspora, uomini e donne che vivono in Europa, negli Stati Uniti, in Sud America e in molti altri paesi, e che ovunque fanno risplendere i valori e le ricchezze umane e cristiane di questo popolo. La parola e la benedizione di Francesco saranno loro di grande consolazione e di sprone». 

Lei si è recato più volte in questo Paese, l’ultima nel 2015 quando ha celebrato la dedicazione della cattedrale Chiesa dei martiri a Gyumri: cosa la colpisce maggiormente del popolo armeno?

«Ciò che mi colpisce di questo popolo suscitando in me profonda ammirazione è lo spirito di sacrificio, la capacità di vivere ogni vicenda della sua storia – il tempo della libertà, così come quello della persecuzione e della sofferenza – con autentico spirito cristiano, restando ancorato alla croce di Cristo. Questo legame alla croce è ben rappresentato nei khatchkar (cippi di pietra che recano scolpite le croci ornate) che sono disseminati ovunque nel Paese quasi a costituirne visibilmente l’ossatura. La perseveranza nella fede, l’umiltà e lo spirito di servizio sono la forza dell’Armenia, ciò che ha consentito a questa grande comunità cristiana di attraversare e superare le terribili tribolazioni del Novecento, che hanno colpito complessivamente oltre un milione e mezzo di cristiani armeni». 

Queste grandi tribolazioni come hanno segnato l’anima del popolo e la sua spiritualità?

«Il segno lasciato da queste dolorosissime vicende è indelebile. Penso alla liturgia armena: ciò che maggiormente mi impressiona sono i canti: struggenti, sembra che sgorghino dalle viscere delle persone. Essi esprimono uno spirito di adesione a Dio, una fede mai negata, mai venduta, conservata a caro prezzo, nella sofferenza. Questo è un popolo che ben conosce il patire. La preghiera che sento sorgere spontaneamente nel cuore pensando a papa Francesco che va a toccare con l’olio della consolazione e della compassione la nazione armena è che tutto questo dolore generi una speranza e un amore più grandi». 

Qual è il suo giudizio circa gli attuali rapporti tra la Chiesa cattolica e la Chiesa apostolica armena?

«Li considero molto fraterni e particolarmente cordiali. I cattolici costituiscono una presenza minuscola numericamente e dobbiamo ringraziare il Signore perché la Chiesa apostolica armena – grazie alla magnanimità di Karekin II e del suo predecessore Karekin I – ha permesso alla Chiesa cattolica di esistere e di vivere pienamente la fede e la carità a servizio del popolo. Penso, per esempio, alle opere delle suore Missionarie della Carità a Spitak e Yerevan e all’ospedale di Ashotks, gestito fino a oggi dai Camilliani e dalla Piccole Sorelle di Charles de Foucauld, che fu donato dalla Caritas italiana, su invito di san Giovanni Paolo II, dopo il devastante terremoto del 1988. Sono convinto che la visita di papa Francesco sarà foriera di vincoli ancora più stretti tra le due Chiese, di legami di fraternità, amicizia e mutuo sostegno ancora più saldi e fecondi, che porteranno a una operosa collaborazione in molti campi». 

Prevede che papa Francesco e Karekin II, supremo patriarca e Catholicos di tutti gli armeni, redigeranno una «Dichiarazione Comune» come fecero nel 2001 san Giovanni Paolo II e Karekin II?

«Presumo che anche in occasione di questa visita sarà redatta una Dichiarazione Comune nella quale verrà sottolineata e ribadita la comune fede in Cristo nostro Salvatore, e si espliciteranno il desiderio e la volontà di costruire, con la grazia del Signore, legami sempre più fraterni tra noi».  

Ritiene che la visita di papa Francesco avrà una qualche influenza sul «Gruppo di Minsk» dell’Osce, i mediatori che finora hanno provato, senza risultati, a trovare una soluzione al conflitto tra l’Armenia e l’Azerbaigian, per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh?

«Penso che certamente questa visita offrirà l’occasione per richiamare e incoraggiare i valori che costituiscono la spina dorsale di ogni comunità umana: il ripudio della violenza, dell’uso delle armi che provocano immensi dolori, e il tenace perseguimento della pace attraverso la via diplomatica, il dialogo, l’incontro, i negoziati. Credo che durante la visita in Armenia, prima tappa del viaggio nella regione del Caucaso (in settembre il Papa si recherà in Georgia e in Azerbaigian) non mancheranno un forte appello alla pace e un sentito invito a operare affinché il Caucaso diventi ciò che geograficamente è: un ponte tra Oriente e Occidente». 

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