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La fede al tempo dell’iperrealismo

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Keiichi Matsuda

Matthew Becklo - pubblicato il 10/06/16

Il cortometraggio di Matusda è di grande effetto. L'iperrealismo sta diventando reale; come reagirà la Chiesa?

A seconda della persona alla quale lo chiedete, il futuro potrà sembrare cupo o meraviglioso.

Nel cortometraggio “Hyper-Reality”, il designer Keiichi Matusda immagina un mondo in cui la ludicizzazione, i social media e le campagne pubblicitarie virtuali sono confluiti in un unico campo visivo – imposto con la forza in tutto ciò che ci circonda – confondendo in modo ufficiale il confine tra il mondo tecnologico e il mondo reale.

Se questo vi sembra fantascienza, sappiate che non lo è. O, perlomeno, non per molto. Prodotti basati su tecnologie di realtà aumentata, come le “HoloLens” della Microsoft e i “Google Glass”, promettono di fondere virtuale e reale negli anni a venire.

Matsuda è partito da questo concetto, portandolo però verso qualcosa che tende verso gli horror distopici. Guardate voi stessi.

Entriamo nella vivida e frenetica esperienza visiva di una donna di nome Juliana Restrepo – che si trova in un autobus a Medellín, in Colombia – mentre sta andando in un negozio, dove lavora come “personal shopper”. Il tutto arricchito da un continuo pulsare di immagini coloratissime in 3D che appaiono in sovrimpressione.

Quando uno dei suoi superiori l’ha rimproverata per il suo ritardo, Restrepo si è rivolta a Google ponendo una delle più grandi domande esistenziali che abbiamo tutti quanti: “Chi sono? Dove sto andando?”E lei riceve la risposta più superficiale e limitata possibile: “Sei Juliana Restrepo, niente di particolare. Hai tre amici e nessun risultato. Stai andando al San Antonio Exito per fare la spesa”. E lei pone un’altra domanda: “Posso ricominciare da capo” e appare una schermata: “Resettare la tua identità? Annulla/Resetta”.

La questione dell’identità si ripropone quando il campo visivo di Juliana, all’interno del negozio, inizia ad avere dei problemi: l’impiegata dell’assistenza clienti la visualizza come “Emilio”. Il suo “account” è apparentemente sotto attacco, e Juliana viene catapultata nella realtà, senza alcun potenziamento tecnologico. Si rende conto di trovarsi in un anonimo negozio di alimentari, circondata da gente monotona in cui l’unico suono è il pianto lontano di un bambino. Juliana sospira e aspetta.

Quando torna online, le viene detto di dover seguire una linea blu verso una stazione di servizio, in modo da poter verificare le sue informazioni biometriche. Ma in quel momento un teppista le sferra una pugnalata sulla mano, mandando in tilt il suo sistema e provocandole una perdita di identità. Lei si volta e vede una statua di Maria, vicino a un portone. “È iniziata una nuova vita!”, si legge su un cartello sopra alla statua. Juliana corre verso la statua per “ricominciare daccapo” e la sua visuale torna ad essere bombardata di coloratissime immagini animate in 3D. Componendo una croce con le dita, lei chiede di diventare cattolica. A quel punto la lista di azioni che lei deve completare è totalmente diversa: “confessa i tuoi peccati, va a Messa, battezzati, fa l’elemosina ai poveri, fa volontariato, diffondi la parola di Dio”.

Prima di quel momento il video ha mostrato per due volte immagini di Cristo: una volta sull’autobus, e una volta per le strade di Medellín, appena prima dell’assalto con il coltello. Altrettanto difficile da scorgere è il riferimento a Corinzi 5:17 nel cartello sopra alla statua (“Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove”).

La simbolica conversione di Juliana al cattolicesimo risulta essere più affascinante che offensiva. In un’intervista, Matusda ha chiarito che il video è stato realizzato per mettere alla gogna il consumismo, e non la fede:

“Industrie affermate e metodi di lavoro ormai consolidati vengono buttati giù in pochi anni”, ha spiegato, “e poi rimpiazzati da sistemi che non sono né testati né regolamentati. In questa forma di capitalismo accelerato, è facile sottovalutare l’impatto enorme che questo può avere sulla vita quotidiana e sulla routine delle persone invischiate in questi sistemi. Sembra infatti che ci si concentri più su come poter danneggiare le industrie che su come migliorare la qualità della vita delle persone”.

L’intervistatore fa poi una domanda sul ruolo che la conversione di Juliana al cattolicesimo ha in questo contesto. Matsuda risponde: “Juliana è molto passiva, perché ha accettato il sistema di valori che le è stato posto. Ma alcune situazioni esterne le danno la possibilità di re-inventare se stessa. Ovviamente il cattolicesimo è una parte fondamentale della vita di molte persone in Colombia e in altri posti dell’America Latina. Sembra anche che sia l’unico sistema di valori abbastanza potente da competere con il capitalismo consumistico liberale”.

L’anno scorso, in un interessante articolo del Dr. Eugene Gan, è stato sostenuto che il nostro desiderio di iperrealismo – eschaton apparente del consumismo capitalista – rispecchia il desiderio di comunione con Dio che ci spinge alla Chiesa. Entrambi questi desideri ci proiettano verso ciò che è oltre la nostra esperienza terrena, perché vogliamo qualcosa di più vero della realtà stessa.

Ma in “Hyper-Reality”, Matsuda pone molte domande interessanti su questo tema. L’iperrealismo sta diventando reale; come reagirà la Chiesa? Cosa ne sarà dell’evangelizzazione e della devozione religiosa quando questo avverrà? Che cosa la Chiesa dovrà cambiare (o non cambiare) per essere presente in questo nuovo mondo, pur continuando a perseguire la propria missione?

Ma forse la domanda più grande è la seguente. Questo sviluppo esponenziale della tecnologia sta trasformando radicalmente la società e la famiglia; non dovrebbe la Chiesa parlarne di più?

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