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Gloria, fashion designer. Un lavoro “da Dio”

Fashion designer Gloria Di Iasio

© Antoine Mekary / ALETEIA

Fashion designer Gloria Di Iasio - Roma, Spazio 2.0 © Antoine Mekary / ALETEIA

Marinella Bandini - Aleteia - pubblicato il 09/06/16

"Dio è un sarto e la mia vita è un abito su misura". L'idea è giusta se si può realizzare, Dio ci ha pensati e ci ha fatti.

“Puoi avere migliaia di disegni bellissimi nel cassetto, ma verrai sempre superato da quell’idea che ha trovato concepimento”. Come è la vita: “Non saremmo qui se Qualcuno, pensandoci, non ci avesse anche fatto”. Incontriamo Gloria Di Iasio in uno showroom di Trastevere, a Roma. Filosofa di formazione, dopo essere passata per le più svariate esperienze lavorative ha lasciato la sicurezza di un posto da impiegata per “riprendere il filo” di un discorso interrotto quando era bambina. Oggi, a 35 anni, è una fashion designer emergente, anche sea lei piace definirsi “coturier”, una sarta. A Gloria piace mettere le mani in pasta. “Il lavoro non è salire in passerella a fine sfilata, quello è un aspetto. Il lavoro è quando stai lì a provare un cartamodello con gli spilli tra le mani, quando infili l’ago e ti buchi le dita! Quello è l’aspetto bello del lavoro, è lì che impari! Il resto è necessario – il sito web, i biglietti da visita, la sfilata -, ma è il rapporto con la materia”. E non sempre la materia ha una piega facile. La stoffa così come la “materia umana”. Si passa dentro tanti errori per arrivare al risultato finale.

Uno dei passaggi più importanti nella creazione di un abito è la prova sul manichino: “È il momento in cui bisogna ‘sdifettare’ la tela, come si dice in gergo. Devi togliere tanti errori, devi lavorare con l’errore, e lavorando con l’errore raggiungi il risultato. Come nella vita: anche noi diventiamo qualcosa lavorando con i nostri errori”. Un metodo in controtendenza in una società alla ricerca esasperata di una perfezione svincolata dalla materia: “Il prodotto industriale lo pensi perfetto e magari quando lo indossi è pieno di difetti. Qui è il contrario: lavorando col difetto raggiungi la perfezione (o tendi a raggiungerla). È un procedimento più lungo ma più compiuto”. È un lavoro in cui si impara a perdonare e a perdonarsi. “Quando vedi l’errore, o prendi il vestito e lo butti, ma così fai una galleria di opere incompiute” oppure… si fa “come Michelangelo: poteva buttare il pezzo di marmo alla prima venatura, invece partendo da quella venatura lo lavorava e ne ha fatto opere d’arte. Dipende da te. Se ripenso alla mia vita – riflette Gloria -, tante persone, tanti incontri, tante esperienze hanno lavorato sulle mie venature”.

“Sì, Dio è un sarto: ha pensato una cosa e l’ha fatta, è stato ideatore e realizzatore. Non si è fatto scandalo della materia, ma l’ha talmente amata che si è fatto materia tramite il Figlio. Non si è staccato dalla materia, perché me ne dovrei staccare io?” E “la mia vita è un po’ come un abito su misura. Guardando indietro mi accorgo che ogni cosa che mi è successa, è capitata sempre nel momento giusto e tutto quello che mi è stato tolto, anche se inizialmente non si capisce mai, è quello che non era proprio per me”. Con la moda è andata proprio così: “Non ero soddisfatta del mio lavoro, mi sembrava di non costruire nulla, mentre vedevo gente intorno a me che costruiva ogni giorno la sua realtà imprenditoriale”. A 30 anni lascia il lavoro e con i soldi messi da parte per un pellegrinaggio in Terra Santa si iscrive all’Accademia Altieri di Moda e Arte a Roma. Una scelta “benedetta”. “Riprendo il disegno, riprendo in mano gli strumenti veri di questo mestiere: gli aghi, i fili , la macchina da cucire e comincio a produrre i miei primi piccoli lavori”.

La cosa gira. “Mi rendo subito conto che ogni volta che costruisco un pezzo di un vestito costruisco un pezzo di me, in ogni vestito c’è un punto di soddisfazione interiore”. Per Gloria comincia la gavetta: i primi lavori di backstage (per altre case di moda), le collaborazioni gratuite con alcune sartorie di Roma. Nel 2015 a Milano, nell’anno dell’Expo, è finalista del concorso “Imbastire un sogno. Cucine un’idea” promosso da Confartigianato, evento gemellato con la Camera della Moda di Pechino. Non passa inosservata e a febbraio 2016 partecipa alla sfilata di Casa Sanremo, in occasione del Festival della Canzone italiana. Subito dopo un noto stilista romano le apre le porte di “Spazio 2.0 Roma” il nuovo showroom in cui può esporre le creazioni con il suo marchio “Gloria Di Iasio”. Lavora in modo artigianale, a mano, pezzi unici. “Fare una cosa fatta bene appartiene all’uomo come sua natura. Il punto del fare non può essere il paragone col mercato”.

“È un lavoro umano, non un lavoro per il consumo ma per una soddisfazione. Altrimenti che ti svegli a fare la mattina, solo per soldi?”. E comunque conviene sempre e alla fine “chi lavora bene fa la differenza, e vende all’estero”. Le creazioni di Gloria nascono osservando la realtà. Usa le parole del fotografo Ferdinando Scianna: “Tutto quello che creiamo, lo creiamo in modo subordinato, perché noi non siamo creatori ma creiamo sul già creato, il creatore è Uno solo”. Dall’idea al cartamodello, alla tela… il procedimento è complesso. “L’idea vive solo in rapporto con la realtà. Se pensi a un vestito e non pensi la zip, è impossibile da realizzare. Una idea è vera se è realizzabile, ha bisogno della realtà per vivere”. In questo senso lavorare nella moda “avvicina alla creazione, avvicina a Dio. Non saremmo qui se Qualcuno, pensandoci, non ci avesse anche fatto”.

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