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Il mistero di Kennedy ed altri segreti di un’elettrice cattolica

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Lani McDonald - pubblicato il 08/02/16

Come la mia voce si è evoluta nel corso degli anni

Conoscete quegli americani che sono nati per amare la nostra politica, entusiasmati dall’influenza che ha a livello globale? Quelli che – ad ogni stagione elettorale – sono elettrizzati dalla possibilità di promuovere il loro partito e di “vendere” i loro candidati alle masse, presumibilmente meno illuminate?

Io non sono una di loro. Da ragazza non mi era del tutto chiaro se John F. Kennedy fosse un mio parente, una star del cinema o se fosse un santo. I suoi ritratti incorniciati – appesi con rispetto vicino alle foto di famiglia e ai crocifissi – erano molto frequenti nella mia casa e in quella dei miei nonni, continuamente frequentata da molte persone. L’idea che questo JFK fosse degno di amore e di ammirazione è stata rafforzata da diversi libri, come ad esempio dall’annuario del liceo di mia madre nel 1964, che ha inserito alcune fotografie strappalacrime del suo funerale paragonando la tragedia del suo assassinio alla scomparsa del mitico Camelot.

Quando mi sono resa conto che Kennedy non fosse direttamente collegata alla mia famiglia, l’avevo già accettato come un elemento inscindibile della romantica e orgogliosa cultura italo-irlando-catto-democratica da cui provengo. Non importa che quando ho lasciato casa per iniziare la mia vita adulta fossi a tre generazioni dal primo sbarco sull’Ellis Island; che fossi religiosa in modo vago e selettivo, cosa tipica dei cattolici decaduti; e che non sapessi nulla di politica, tranne che i democratici avevano sempre ragione (anche quando avevano torto) e che i repubblicani avevano sempre torto (anche quando non sbagliavano). Tale era l’identità che avevo “appreso” quando sono entrata nel primo anno della University of Iowa insieme a migliaia di altri 18enni che promuovevano i propri “pacchetti di identità”. Eravamo tutti in quella liberatoria e impressionabile età della vita in cui i più vulnerabili sono i più propensi a perdere la rotta.

Per me è stato abbastanza facile onorare almeno la metà del mio patrimonio etnico, perché lavoravo nella caffetteria italiana di mio zio – nel centro di Iowa City – e seguivo un corso facoltativo di lingua italiana. La componente cattolica è stata più problematica da mantenere perché non conoscevo nessuno che parlasse di Dio o che frequentasse funzioni religiose di alcun tipo, e il mio catechismo era terminato all’epoca della quarta elementare; inoltre conformarmi a un codice di condotta religiosa era in contrasto con la mia vita da studentessa single.

Quanto al ritenermi una democratica, devo dire che la politica e le notizie mi annoiavano a morte. Non avevo mai capito le chiacchiere politiche che i miei parenti adulti scambiavano dopo aver bevuto troppo vino nella vigilia di Natale, e non avrei certo rivelato questa costante ignoranza discutendo con chi avesse una mentalità più politica, sia sul posto di lavoro che tra i miei coetanei a scuola. Ad ogni modo, come poteva la mia vita quotidiana essere direttamente influenzata da tutto ciò che il governo ha o non ha fatto? Ero sufficientemente soddisfatta nell’esaltare la poesia per il suo idealismo e per la sua bellezza, nel detestare la guerra per la sua omicida oppressione e nell’evitare situazioni che avrebbero potuto compromettere la mia integrità o il mio controllo. Cosa aveva a che fare la politica con una qualsiasi di queste cose?

Non sapevo che quella che consideravo come apatia politica in quegli anni era in realtà l’agitazione infantile del mio potere in evoluzione in quanto donna americana con degli obiettivi personali e una voce da far sentire votando. Ero infantile, senza dubbio, perché andavo avanti in base all’esperienza personale: galoppavo al ritmo di quei fattori fastidiosi che però formano inevitabilmente i punti di vista di una persona, i suoi valori e il suo senso di responsabilità verso la società.

In tutta la mia evoluzione da elettrice, ho saltato alcune elezioni locali, perché non sono riuscita a informarmi a dovere su alcune complicate questioni e sulla scelta dei candidati. Mentre mi sono imposta di votare durante le elezioni presidenziali in cui era padrone la cultura maschilista, c’è almeno un presidente che ho contribuito a far eleggere nei miei anni più giovani, non sulla base del suo carattere, bensì per il fatto che i suoi punti elettorali potessero giustificare, così come dipinti dai media, gli aspetti più egoisti del mio modo di pensare di allora.

Per quanto scomodo o patetico sia stato il mio viaggio nella politica, io ora mi considero un’elettrice impegnata e mossa dalla coscienza. Non penso più che informarmi durante una stagione elettorale significhi prendere una dose giornaliera di titoli dei media tradizionali o seguire i consigli di familiari e amici. Ero in quella situazione, ho agito così in passato e sono stata testimone dei danni che il nostro paese ha avuto a causa di questo atteggiamento. Mi impegno regolarmente per comprendere pienamente sia i programmi dei candidati liberali che di quelli conservatori, prendendomi del tempo per selezionarli con cura.

Nell’America del 2016 viviamo ancora – per fortuna – come cittadini privilegiati che hanno il libero arbitrio in un paese libero. Abbiamo la libertà. Ed è quando esercitiamo il nostro diritto di voto che la nostra libertà è forse nella sua forma più potente. Ogni età e società testimonia che non c’è potere senza libertà, e che non c’è libertà dove il potere non viene utilizzato in modo responsabile per noi e per i nostri posteri.

In quanto cattolica statunitense, non giuro fedeltà ad alcun partito in particolare, perché ho capito che la mia responsabilità è nel preservare la dignità di ogni vita umana – una questione che ha notoriamente superato ogni linea di partito. Apprezzo la libertà e prendo molto sul serio la mia responsabilità nel difenderla. Vita e libertà, due temi che richiedono che la mia coscienza vada alle urne. Questo novembre, la cabina elettorale potrebbe essere solo uno degli ultimi posti su questa terra iper-collegata in cui gli americani di tutte le provenienze possono gridare – privatamente, anche se in modo aperto – la sacralità della propria coscienza. Liberi dall’essere ridicolizzati, minacciati o comunque disprezzati in una piazza pubblica sempre più ostile.

È un anno di grandi elezioni, Charlie Brown. È tempo di usare la tua coscienza.

Lani McDonald è una moglie e madre che scrive articoli e libri partendo da una prospettiva neo-femminista, integralmente cattolica. Il suo lavoro è apparso su quotidiani, riviste di poesia e su varie pubblicazioni commerciali e religiose. Segui Lani su Twitter e su Facebook, o contattala via e-mail.

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