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A cosa serve la fede? Quale convenienza c’è ad essere cristiani?

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Pixabay.com/Public Domain

Unione Cristiani Cattolici Razionali - pubblicato il 08/02/16

di Davide Perillo

A cosa serve essere cristiani? Quale vantaggio ci dà? Solo per “conquistarsi il posto in Paradiso”, come dicono alcuni? E’ dunque una fede ripiegata nell’Aldilà?

No. C’è una frase impressionante che Gesù dice nel Vangelo per rispondere a queste domande: «In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già nel presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna» (Mc 10,29-30).

Avevo già sentito questo passo molte volte, da bambino e da ragazzo. Poi, un giorno, mi è capitato di sentirlo spiegare da don Luigi Giussani così: «”Chi mi segue avrà la vita eterna”, e questo vi può non interessare. Ma “avrà il centuplo quaggiù” -cioè vivrà cento volto meglio l’affezione all’uomo o alla donna, al padre e alla madre, avrà cento volte più passione per lo studio, amore per il lavoro, gusto per la natura-, questo non può non interessarvi». Ha ragione. Cento volte ragione. un promessa così non può non interessare.

In fondo, è questo il vero guadagno della fede. La sua convenienza umana. Non è solo la vita eterna: quella non sappiamo neanche cosa sia. Ma è un’eternità, una pienezza che inizia già qui e ora. Gesù dice questo: chi sta con me, vive in maniera più piena. Non deve censurare nulla. Gusta tutto di più. Cento volte di più. Il centuplo, appunto. Vincendo la morte, non solo promette a noi la vita eterna, ma ci dà un metodo per vivere sempre e tutto pienamente: la sua compagnia. «Io sono la via, la verità e la vita». Stai con me.

E’ una sfida. Ma se Cristo ha vinto la morte, è una sfida che fa a te ora. Se Gesù è davvero Dio, allora tutto è possibile, anche la resurrezione. Ma èsuccesso o no? Abbiamo buoni motivi per crederci?

Possiamo fidarci di quei testimoni che dicono di sì, che è successo? A queste domande non si può rispondere con dei ragionamenti, nemmeno solo studiando il Vangelo cercando di capire se gli apostoli erano tipi affidabili. Certo, da lì puoi tirare fuori indizi importantissimi. Per esempio, tutto quello che succede dopo la morte di Gesù sarebbe stato impossibile se Lui non fosse risorto. Prova a immedesimarti nei dodici, anzi negli undici (Giuda, che aveva tradito, non c’era più). Avevano incontrato quell’uomo senza paragoni. Avevano lasciato casa e famiglia per stare con Lui. Si erano convinti, un passo dopo l’altro, ragionevolmente, che quell’uomo era il Messia, cioè il salvatore che il loro popolo aspettava da secoli. Ma Lui muore. In quel modo, poi; come un criminale. Una sconfitta totale. Drammatica. Tanto che loro si disperdono. Quello che era il più forte di tutti, poi, Pietro “la roccia”, addirittura lo aveva rinnegato tra volte in poche ore. Dovevano sentirsi avviliti. Come quei due che camminavano verso Emmaus “col volto triste” perché «speravamo che fosse lui a liberare Israele» (Lc 24,31).

Come fanno le stesse, identiche persone, pochi giorni dopo, a stupire tutta Gerusalemme con la loro predicazione, i miracoli, la capacità di parlare lingue diverse, la forza inspiegabile e affascinante di quell’amicizia che si vedeva a occhio nudo? Come fanno a conquistare i cuori a decine, centinaia e migliaia? Com’è possibile che il cristianesimo si propaghi di colpo, come un’onda in piena, in Siria, Turchia, Grecia, e poi giù fino a Roma, il cuore dell’impero? Sopratutto: come si spiega che quegli stessi uomini, sconfitti e umiliati, trovino la forza di dare la vita per quel “maestro” morto in croce. C’è poco da fare: si spiega solo se dopo la croce è successo qualcosa di straordinario. Di grande. Qualcosa che ha dato loro una forza impossibile, prima. La resurrezione. Pensaci: senza resurrezione, il cristianesimo sarebbe anche storicamente inspiegabile.

Però, come dicevamo, questo non basta. Non basta capire se gli apostoli erano testimoni affidabili. Perché l’annuncio che Dio si è fatto uomo, è morto ed risorto, da loro è passato ad altri, e poi ad altri ancora, e ancora, fino ad arrivare a te, ora. C’è solo un metodo ragionevole per capire se ci si può fidare, lo stesso usato da chi ha incontrato Gesù o dai primi che si sono imbattuti negli apostoli: starci. Stare con loro. Passare con loro del tempo. Dedicare tempo ed energia a quell’annuncio. Prenderlo sul serio. Puoi rispondere solo tu, con la tua esperienza, se è ragionevole fidarsi.

Se Gesù non fosse risorto, del cristianesimo non starebbe in piedi nulla. Solo un insegnamento morale, magari più brillante di altri ma che, alla lunga, ci stuferebbe come gli altri. Ed invece non bisogna inventare qualcosa, arrovellarsi, fare chissà che. Solo stare. Per capire. E’ esattamente il contrario di quello che molti fanno con la fede. Orecchiano qualcosa, afferrata senza prenderla sul serio, senza impegnarsi davvero con quanto viene detto. Magari la prendono anche per buona, ma senza farla diventare loro. E prima o poi, annoiati, la abbandonano. Perché non è più interessante. Ma non può esserlo, senza quella verifica personale.

Se Gesù è risorto, vuol dire anzitutto una cosa: che è davvero il Signore della vita. Cioè colui che dà senso alla vita, che le regala pienezza. Vuol dire che la morte non è la parola “fine”. Non è più vero che “tutto finisce”: c’è la speranza che le cose siano fatte per durare, sempre. Sopratutto, se è risorto vuol dire che anche Lui dura nella storia. Non solo il suo messaggio, ma Lui. La sua persona. E se dura nella storia, possiamo incontrarloanche noi, oggi. Possiamo stare con Lui. E sperimentare, già adesso, il gusto pieno dell’esistenza. Questo è possibile soltanto perché Lui c’è, qui e ora, nessuna filosofia o religione potrebbe riempire la vita di eternità. Solo una Presenza, può farlo.

[Tratto da La fede spiegata a mio figlio (Piemme 2007, p. 57-60)]

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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