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Tunisia: il cuore della Chiesa al ritmo del popolo

Marinella Bandini - Aleteia - pubblicato il 21/01/16

Padre Lhernould: la libertà c'è ed è reale, ora la sfida è culturale. Terrorismo? Problema di potere interno all'islam, non cadere in trappola

“La Chiesa è relativa al popolo, deve avere il cuore che batte allo stesso ritmo”: a parlare è il vicario generale dell’arcidiocesi di Tunisi, padre Nicolas Lhernould. Racconta del Natale da poco trascorso: malgrado un attentato nel centro della capitale, poche settimane prima, “le chiese erano strapiene; molti amici tunisini sono venuti per curiosità, per vedere come festeggiamo il Natale”. Cose impensabili spostandosi di poche decine di chilometri, in Algeria o in Libia. È la nuova Tunisia post-rivoluzionaria. Qui la situazione per i cristiani “è buona” e “non ci sono tensioni interreligiose,le preoccupazioni sono quelle comuni a tutto il popolo: la sicurezza, l’economia”. E nonostante, come in questi giorni, ogni tanto si riaccenda un focolaio di protesta nelle zone interne del paese, quelle più povere, bisogna non cadere nella “trappola” del racconto religioso. La Chiesa tunisina è “in ascolto di Dio e del Paese”, per capire come tornare nelle periferie. Molto è cambiato dagli anni ’70, quando i religiosi venivano chiamati per lo sviluppo educativo e sanitario delle zone rurali e interne del paese. Oggi tutto questo non c’è più, le esigenze sono cambiate. Ma il “piccolo gregge” dei cattolici tunisini – 25mila persone su 11 milioni di abitanti – è tutt’altro che ritirato.

È una chiesa di “migranti” per la quasi totalità, da circa 80 paesi. Ma è tutt’altro che straniera. “Ci consideriamo una Chiesa cittadina – sottolinea padre Lhernould -. Essere cittadino non è avere documenti tunisini, significa sentirci ed essere visti dai tunisini come membri, almeno di cuore, di questa società e portare la nostra pietra alla costruzione dell’edificio della nuova Tunisia”. Così, nei tanti matrimoni misti, le donne cattoliche “vivono in prima linea sfide del dialogo di vita e dell’educazione dei figli”. Le dieci scuole cattoliche “non sono scuole per la comunità cristiana. Sono gestite da religiosi, ma seguono il programma statale e tutti gli alunni sono tunisini e musulmani”. E così “siamo a contatto così con più di seimila famiglie; in alcune zone la scuola ci permette avere relazioni con tutta la città o la regione”. Ci sono le opere di carità, in partenariato con associazioni tunisine musulmane, come il progetto per i portatori di handicap o quello per le ragazze-madri. “Questo agire insieme è prezioso e permette di far fare dei passi alla società”.

Insomma, insieme è possibile. Un proverbio tunisino dice: “Non scegliere la tua casa, ma scegli i tuoi vicini”. “Quando condividi davvero la vita della gente nasce una fiducia. Questo è il vero tesoro, che va oltre le idee di impossibilità di incontrarci, di fare le cose insieme, di lavorare per l’umano insieme. Possiamo testimoniare con la nostra vita che il contrario è possibile” racconta padre Lhernould. Anche gli attentati dell’ultimo anno non hanno scalfito questa fiducia: “Molti musulmani sono venuti a chiederci perdono. Nella mentalità occidentale sembra strano, in Tunisia no. L’ospitalità è sacra: quando ospiti una persona ne sei responsabile davanti a Dio, se gli capita qualcosa di male il responsabile sei tu”. È importante, perciò, “non cadere nella trappola” dei terroristi: “La sfida è all’interno dell’Islam, non c’è scontro tra civiltà occidentale e orientale, tra musulmani e cristiani”. Tanto è vero che sempre di più “i musulmani chiedono a noi, Chiesa, di partecipare alla riflessione attorno a questo dibattito, per testimoniare con la nostra storia e il nostro vivere come abbiamo affrontato le stesse sfide”.

Con la nuova Costituzione – entrata in vigore un anno fa, proprio in questi giorni – in cui l’Islam è religione di Stato, ma in cui la sharia lascia il posto alla “libertà di credo, di coscienza e di esercizio del culto”. Ma se il diritto “ha fatto una rivoluzione”, a livello di cultura “ci vorrà un po’ di tempo. È vero, l’apostasia non è più condannata, ma dobbiamo metterci al posto di una mamma che viene a sapere che suo figlio diventerà cristiano o non avrà più una religione. Naturalmente, reagisce male. Quindi: sì, una vera libertà c’è, ma c’è anche una sfida culturale. Ci vorranno alcune generazioni perché diventi cultura il passo fatto dal diritto”. Il Giubileo della Misericordia è una grande occasione in una società in cui si invoca ogni giorno il “clemente e misericordioso” più di 30 volte a persona. “È un tema di incontro tra noi, anche se la misericordia nel cristianesimo e nell’Islam non sono simili. Nel concetto cristiano della misericordia c’è quello di tenerezza, il sentimento in cui l’altro si sente amato. Dopo gli attentati una delle ferite nel cuore dei nostri fratelli musulmani è di essere visti un po’ di traverso, per questo bisogna usare tutte le possibilità per far sentire il contrario di uno sguardo degradante o umiliante”.

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