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Mi perdoni, padre, perché sono un disastro

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SIMCHA FISHER - pubblicato il 21/01/16

Sabato ho realizzato che potevamo fare parte dello shopping, confessarci, finire di fare shopping ed essere a casa prima di cena.

Non c’è niente a cui opponga più resistenza della confessione. Non appena l’idea mi passa per la testa, si fanno strada undici scuse diverse. Non c’è niente da fare! Ho del pollo in macchina e si rovinerà! Sarebbe sconsiderato, perché ho lasciato il bambino a casa! Probabilmente a padre Dan fa male la schiena, e l’ultima cosa che vorrebbe è più gente in fila! Non sono nemmeno sicura dell’orario delle confessioni! Faccio parte di questa parrocchia solo da nove anni, come potrei sapere a che ora ci si confessa? E comunque sia non ho avuto tempo per prepararmi come si deve! Sarebbe un insulto nei confronti di Dio apparire lì e snocciolare qualcosa tralasciando tutto ciò che conta davvero. Sarebbe meglio aspettare fino a quando non riesco a prepararmi davvero bene. La confessione è importante, quindi va fatta nel modo giusto. Rimandiamo a un’altra occasione.

Questo panico mi è talmente familiare che neanche ci faccio più caso. Lo lascio semplicemente esprimere, e poi dico: “Tutto a posto? Ok, allora andiamo a confessarci”. E così sono andata, aggrappandomi ancora pateticamente all’idea che forse, solo forse, la confessione era alle due, e se fossimo comparsi alle due e mezza saremmo stati in ritardo. Magari la chiesa non era neanche più lì…

Beh, la chiesa era ancora lì, e non eravamo in ritardo. Orrore!

Avevo lottato con un po’ di confusione su una questione spirituale che aveva provocato una certa sofferenza. Mentre mi inginocchiavo, il mio cuore ha avuto un gemito:

Ascolta, Signore. Non sto cercando di dirti come fare il tuo lavoro. Suppongo che tu mi ami. Ecco il mio cuore, lo aprirò. Se mi dici qualcosa che ho bisogno di sentire, cercherò di ascoltarlo. Non so cos’altro dire. Dammi la forza. Ok, grazie. Ci vediamo.

E sapete una cosa? Il pastore (GESÙ) mi ha detto qualcosa di molto chiaro, e ovvio, e utile, e illuminante, e liberatore. È stato molto più illuminante di quanto avrei mai osato sperare, e sono uscita dal confessionale sorridendo come un’idiota. E piangendo. E sorridendo, mentre mi colava il naso e mi cantava il cuore.

È stato bellissimo. Adoro quando succede.

Ma anche quando è una confessione regolare, in cui snocciolo per l’ennesima volta i miei soliti peccati e il sacerdote mi assolve, senza che ci siano grandi svolte, mi sento così. Mi sento come Ebenezer Scrooge dopo che si è pentito e va in giro a fare ammenda. Non riesco a farne a meno!

Non è sempre stato così. Ho sempre fatto resistenza di fronte alla confessione. Quando mi trovavo nel confessionale mi sentivo a disagio e nervosa, sentendomi falsa e bugiarda. Uscivo e pensavo: “Oh, aspetta, ho dimenticato il punto principale! Non penso di aver spiegato davvero cosa stava succedendo. E quella cosa di undici anni fa? L’ho mai confessata davvero? Dovrei rimettermi in fila? A che serve se lo faccio così male?”

E quando sentivo di persone che uscivano dal confessionale piene di gioia e di sollievo, questo non faceva che consolidare l’idea che stessi facendo tutto male.

E allora cos’è cambiato?

Alla fine ho capito che stavo mettendo troppa enfasi sulla necessità di far bene le cose. Ho capito che non c’era un modo per farlo abbastanza bene da guadagnarmi l’assoluzione. Non era questo il punto. Il punto è proprio il fatto che io sia incerta e imperfetta, che mi dimentichi le cose e me la cavi così. È innanzitutto per questo che abbiamo bisogno della confessione. Entro in quel piccolo abitacolo e Gesù mi dà un’occhiata nella luce soffusa e mi dice: “Guarda, mi occuperò di… tutto, ok? Mi prenderò cura di te”.

È questo il punto. È per questo che è morto: perché non se ne parla neppure del fatto che possiamo fare bene qualcosa. Tutto ciò che dobbiamo fare è andare lì, e Lui si prenderà cura di noi.

È questo che significa che Gesù è morto per noi. Soffriamo e lottiamo ancora, proviamo ancora dolore e tristezza, colpa e angoscia, ma non dobbiamo preoccuparci di fare le cose per bene. Non siamo efficienti. Quello che Gesù vuole per noi è che ci apriamo a Lui e vediamo molto chiaramente la nostra impotenza. È questo che si aspetta. È questo che vuole, più di quanto desideri una lista di peccati impeccabilmente scrupolosa. Vuole che pensiamo meno a noi e alle nostre mancanze – anche alla nostra incapacità di confessarci come si deve! – e più a Lui e alla Sua inimmaginabile misericordia.

Ovviamente dobbiamo fare del nostro meglio per compiere i nostri doveri. È per questo che la Chiesa ci dice cosa dire e cosa fare; e sì, dobbiamo dire e fare cose. Ma anche se cerchiamo di fare del nostro meglio, ricordiamoci che anche il nostro meglio non sarà mai abbastanza.

Per cui… rilassiamoci.

Nel confessionale, il nostro compito è ammettere la sconfitta e passare la palla a Lui. È quello che vuole. E quando lo faccio, esco dal confessionale con il sorriso ebete sulla faccia, il mio naso cola e il mio cuore canta. Rendiamo grazie a Dio!

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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