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Membri del New Age o di sette a un ritiro spirituale cattolico?

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Luis Santamaría del Río - Aleteia - pubblicato il 14/12/15

La Chiesa non può essere complice di spiritualità contrarie alla fede cristiana

Se ci si interroga sull’opportunità o meno che una parrocchia, una scuola cattolica o un’istituzione religiosa diventi la sede abituale o occasionale dell’attività di qualche setta, la risposta automatica è negativa, qualunque sia la natura della riunione esoterica (solo per i suoi membri) o essoterica (per farsi conoscere e fare proselitismo).

Se, facendo un altro passo, la domanda si riferisce alla galassia diffusa del New Age, formata da una pletora di gruppi, correnti e associazioni, forse alcuni possono esprimere dei dubbi. In questo caso, si tratta di una profonda mancanza di conoscenza di quello che è il New Age e del suo carattere sincretista, che tende ad appropriarsi di contenuti delle tradizioni religiose – anche della fede cristiana – e a cambiarne il significato, adattandoli alla propria dottrina e riempiendoli di relativismo.

Ragioni e pericoli di una situazione

Detto questo, bisogna riconoscere che si tratta di un fatto reale. Una quantità non trascurabile di luoghi di titolarità cattolica accoglie spesso attività organizzate da sette e gruppi che possiamo inquadrare senza alcun dubbio nella nuova religiosità, nell’esoterismo, nelle pseudoterapie spirituali e anche nell’occultismo.

Come diceva anni fa lo psicologo argentino José María Baamonde spiegando i metodi proselitistici e di captazione delle sette, “anche se ogni movimento possiede una strategia particolare, ormai da anni si registra con una certa assiduità quella di cercare di penetrare in ambiti cattolici con diverse scuse”.

Perché avviene questo? Se guardiamo a questi movimenti, è chiaro che cercano in primo luogo una legittimità di fronte al potenziale pubblico. Al momento di fare del proselitismo e di contattare nuovi adepti, il fatto che un incontro abbia luogo in uno spazio ecclesiale può dissipare possibili dubbi e timori. Si suppone che in una parrocchia, una scuola di una congregazione o una casa di spiritualità non si svolga “una cosa qualsiasi”, men che meno qualcosa di nocivo per la salute spirituale dell’uomo. Accanto a questo, bisogna tener conto anche di fattori come il basso costo dell’utilizzo dei locali cattolici se si considera la loro ubicazione o il prezzo dell’affitto di qualsiasi altro tipo di struttura.

Se guardiamo alle realtà ecclesiali che accolgono queste riunioni e attività, possiamo trovarci di fronte a due possibili atteggiamenti che spiegherebbero questo uso. La prima è l’ignoranza, visto che i gruppi che richiedono i locali cattolici spesso si muovono nell’ambiguità, senza rivelare chiaramente la propria identità o la natura di quello che realizzeranno nel luogo che richiedono. Ne è prova il fatto che molte di queste istituzioni ecclesiali, quando vengono avvertite di quello che ospiteranno, sospendono l’attività prevista.

Il secondo atteggiamento che ci può essere dietro questo uso illegittimo di spazi cattolici è la complicità. Anche se è difficile da dire, è l’unica cosa che sembra spiegare le reazioni di alcuni responsabili di locali ecclesiali quando ricevono qualche avviso o reclamo. Se in alcuni casi la complicità può essere dottrinale o organizzativa (cattolici – anche sacerdoti o consacrati! – che condividono gli obiettivi o le convinzioni dei vari gruppi, o che per amicizia cedono di fronte alle pretese dei loro dirigenti o membri), la maggior parte dei casi riguarda l’aspetto economico, visto che questi luoghi ecclesiali implicano ingenti spese di mantenimento e la scarsità di attività fa sì che si apra la porta a ogni tipo di occasione lucrativa.

Cos’ha detto la Chiesa?

Il documento pubblicato dalla Santa Sede nel 2003 – frutto del lavoro congiunto di vari dicasteri – sul New Age, intitolato Gesù Cristo portatore dell’acqua viva, riconosce la situazione della quale abbiamo parlato e risponde in forma chiara e breve: “Dobbiamo tuttavia ammettere che vi sono anche molti casi in cui alcuni centri cattolici di spiritualità sono attivamente coinvolti nel diffondere la religiosità New Age nella Chiesa. Questo deve essere certamente corretto, non solo per fermare la confusione e l’errore, ma anche perché essi siano efficaci nel promuovere la vera spiritualità cristiana” (nel paragrafo “Passi concreti”, 6.2).

Il duro giudizio della Chiesa, che esorta a correggere questa situazione, non ha solo un aspetto negativo (“fermare la confusione e l’errore”), ma anche un elemento positivo (diventare “efficaci nel promuovere la vera spiritualità cristiana”). Non si tratta di condannare per condannare, ma di ricordare il vero fine di qualsiasi spazio che appartiene alla Chiesa cattolica, oltre a segnalare la piena incompatibilità tra il New Age e la fede cristiana, realtà dimostrata in modo ben ragionato in tutto il documento.

In alcuni luoghi, le autorità ecclesiastiche hanno preso sul serio questa indicazione della Santa Sede, applicando con una normativa particolare questo principio valido per la Chiesa universale, preoccupate per la proliferazione di attività settarie in spazi cattolici. Ad esempio, nel 2007 l’arcidiocesi spagnola di Burgos, attraverso una lettera del suo vicario per la pastorale, ha stabilito che “non si cederanno locali di edifici diocesani né di Ordini, Congregazioni, Istituti e movimenti ecclesiali a sette, siano o no del New Age, né ai cosiddetti Movimenti del Potenziale Umano”.

Un promemoria necessario

Visto però che queste misure non sono abituali, nel 2010 la Congregazione per la Dottrina della Fede ha inviato una lettera a tutte le Conferenze Episcopali del mondo, firmata dall’allora prefetto, il cardinale William Levada, preoccupata perché “alcuni centri di spiritualità diretti da membri della Chiesa cattolica hanno integrato nei propri programmi sessioni in cui si uniscono certe tecniche di preghiera a terapie alternative. Queste terapie si inseriscono nel contesto più vasto delle cosiddette cure ‘spirituali’ o di ‘wellness’ [benessere]”. Il dicastero vaticano aveva anche ricevuto “notizie che dimostrano che alcuni contenuti di questi programmi proposti anche da sacerdoti o persone consacrate non sono conformi alla dottrina della Chiesa”.

Per questo il cardinal Levada esortava i presidenti delle Conferenze Episcopali a ricordare ai vescovi dei rispettivi Paesi “la necessità di vigilare sul fatto che i programmi proposti nei centri di spiritualità sotto la responsabilità della Chiesa, inclusi quelli diretti dagli Istituti di Vita Consacrata e dalle Società di Vita Apostolica, siano conformi ai principi della fede cattolica”.

Degno di menzione è il fatto che insieme al testo del cardinal Levada le Conferenze Episcopali di tutto il mondo abbiano ricevuto, a mo’ di promemoria, un documento aggiuntivo: la Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana, pubblicata nel 1989 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, un documento che, come segnalava Levada, è “sempre attuale” e contiene una profonda analisi dell’incompatibilità di certe proposte spirituali con la fede e la preghiera dei credenti in Cristo.

Cosa possono fare le istituzioni ecclesiali?

C’è da aspettarsi che i responsabili delle varie istituzioni della Chiesa abbiano il senso comune e la formazione sufficiente per compiere un discernimento di base dei gruppi che si accostano per chiedere l’utilizzo dei loro locali. In molte occasioni, tuttavia, è difficile conoscere la reale natura di questi movimenti – cosa che potrebbe già essere un criterio quantomeno di sospetto, quando non c’è chiarezza.

Per facilitare questo compito, la cosa più appropriata è che qualsiasi luogo cattolico che sia disponibile alle attività di gruppi estranei alla sua titolarità disponga di un formulario che le istituzioni o le persone che vogliono utilizzarlo devono restituire scrupolosamente compilato, fornendo i dettagli circa il gruppo o l’associazione che organizza l’attività, le persone che dirigeranno o impartiranno il contenuto e un riassunto di quest’ultimo, oltre a qualsiasi altro riferimento che si possa fornire.

Questo, in principio, dovrebbe bastare perché l’organismo ecclesiale possa dare una risposta affermativa o negativa alla richiesta. Nel caso in cui persistano dubbi, si può chiedere a persone o istituzioni che conoscono bene il tema, o attraverso gli incaricati locali per le relazioni interconfessionali (a livello diocesano) o attraverso la Conferenza Episcopale corrispondente.

Cosa può fare qualsiasi cattolico?

Se si conosce qualche luogo cattolico in cui si svolge un’attività propria della nuova religiosità, è chiaro e ragionevole che si debbano seguire le istruzioni date da Cristo, che non sono altro che quelle della correzione fraterna, che applicate in questa sede seguirebbero quest’ordine (mantenendo sempre il tono di dialogo, la carità e il carattere fraterno): in primo luogo parlare con il responsabile del luogo per fargli capire quanto sia inadeguata la celebrazione dell’evento; se la convocazione rimane, riferire la questione all’autorità ecclesiastica corrispondente. Nel caso in cui non sortisca alcun effetto, bisogna ponderare la possibilità di rendere pubblica la cosa perché i fedeli e le altre persone sappiano quello che sta accadendo e siano avvertite.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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