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Un medico missionario tra i poveri del Brasile. L’incredibile storia del dottor Nottegar

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 09/11/15

Dalla corsa senza scarpe per salvare un bimbo gravissimo fino ai viaggi nelle capanne per aiutare malati di cancro e lebbrosi

Un medico speciale, un servo di Dio in carne ed ossa che decide, insieme alla sua famiglia, di dedicarsi ai poveri in Brasile, tra favelas, villaggi, foreste pluviale.

In “Alessandro Nottegar. Il “mediano” della santità”, il giornalista e scrittore Saverio Gaeta racconta le peripezie incredibili di un uomo che nel destino sembrava avesse tutt’altro che la medicina.

DAL SACERDOZIO ALL’OSPEDALE
Finita la quinta elementare, la sua famiglia lo manda a studiare nel collegio dei Servi di Maria ma, dopo anni di studio e di discernimento vocazionale, Alessandro capisce che la sua chiamata non è il sacerdozio, bensì la famiglia: vuole servire il Signore nel matrimonio e condividere con gli altri i doni che ha ricevuto. Si iscrive a Medicina, ma non gli interessano né i soldi, né la carriera. Nel ‘71 si sposa con Luisa che condivide i suoi ideali e che gli darà tre bambine. Si laurea nel ’77 e nel ‘78 parte con la famiglia per il Brasile dove vivrà quattro anni, servendo i malati più poveri e i lebbrosi.

IL “PATTO” CON DIO
Il 18 agosto 1978 Alessandro affidava alla guida di Dio il suo trasferimento nel Sud America. Scriveva così: «Abbiamo tanta paura! Il passo che stiamo compiendo è grande! Signore, noi vogliamo “lasciarci condurre”, ma sentiamo molto forte la paura: di sbagliare, di non essere all’altezza di ciò che ci attende, di tirarci dietro i nostri figli, del distacco dai parenti e amici, paura di deludere, di non farcela, di non essere fedeli a Dio, alla sua chiamata».

UN MEDICO PER I POVERI
Fu don Pietro Cunegatti la “guida” di Sandro e Luisa nei primissimi tempi in Brasile, che li videro a Porto Alegre per ambientarsi con la realtà ospedaliera brasiliana e per imparare la lingua portoghese. In una lettera al suo parroco don Adelio, il medico “missionario” confidava: «Credo di aver un po’ capito la differenza tra fare l’eroe qualche anno in mezzo a questi poveri e vivere con loro facendo tutto per andare avanti insieme. Sono contento anche se non è tutto facile». La sua attenzione preferenziale per i poveri si fondava anche su una semplicissima e concreta motivazione: «Il ricco, se non è contento di me, va da un altro medico, ma il povero non ha nessun’altra scelta!».

GUIDATO DALLA PREGHIERA
Alessandro svolgeva l’attività di medico in ospedale ad Anaurilândia, un comune del Brasile nello Stato del Mato Grosso do Sul, in Amazzonia. L’amica italiana Bruna Terziotti ha affermato, sintetizzando le confidenze ricevute da Luisa, che «Alessandro era un medico speciale: nonostante la carenza di strumentazioni adeguate, riusciva a fare diagnosi abbastanza precise. Spesso riusciva a intuire la natura della malattia (Luisa lo chiamava proprio intuito) e a curare con successo il malato. Quell’intuito io l’ho sempre interpretato come un aiuto speciale che Alessandro riceveva grazie alla preghiera».

IL SALVATAGGIO DEL PICCOLO VINICIUS
A Neuza de Sá Cavalcante è rimasta impressa la vicenda del piccolo Vinicius, di solo un anno, che aveva avuto una pericolosa convulsione febbrile. Un’infermiera racconta: «Il dottor Alessandro aveva lavorato fino a tardi e mi dispiaceva chiamarlo a quell’ora di notte. Ma fui costretta a chiamarlo. Gli italiani non usavano quegli zoccoli bianchi? Quegli zoccoli buffi con la suola di legno? Andai a chiamarlo e gli dissi: “Dottore, il bambino sta morendo e non c’è nessuno”. “Non preoccuparti, vengo io, vengo io”».

LA CORSA SCALZO SULLA GHIAIA
Alessandro iniziò a correre verso l’ospedale, si tolse gli zoccoli e corse scalzo sulla ghiaia della stradina. «Gli chiesi: “Come possiamo fare la flebo? Non riesco a trovare la vena”. Mi disse: “Portami del sale”. Pensai: “Darà del sale al bambino?”. Invece preparò una soluzione reidratante e cominciò a somministrarla al bambino. Il bambino era così denutrito e disidratato che sembrava in fin di vita. Chiese ai genitori di poterlo battezzare. Pregava molto per questi casi gravi e il bambino sopravvisse».

IN SERVIZIO ANCHE DI NOTTE
Si raccontano di tanti “salvataggi” ad opera di Alessandro. Dai lebbrosi della favelas ai malati nelle capanne putrefatte. Un’altra infermiera dell’ospedale dove lavorava lo ha addirittura definito “un angelo custode”: «A volte di notte c’erano delle urgenze in ospedale. Non avevamo un telefono o un citofono, così correvo a casa del dottor Alessandro a chiamarlo. Mi impressionava, perché bastava che io lo chiamassi una sola volta, mi rispondeva subito ed era già pronto. Era come se fosse sempre in attesa, pronto per servire».

UN “PADRE” RASSICURANTE
La donna è stata anche direttamente protagonista della vicenda che ha riguardato suo marito, che beveva molto e cominciò ad avere crisi convulsive: «Io andavo allora in cerca di Alessandro perché mi aiutasse in quella situazione e lui, anche di notte, lasciava tutto per venire da noi. Mio marito si buttava anche tra il filo spinato, prendeva la rincorsa e vi si buttava in mezzo. Nessuno riusciva a fermarlo, perché durante queste crisi era molto agitato e diventava violento. Invece quando arrivava Alessandro e gli metteva le mani sulle spalle, mio marito si calmava e poi il dottore gli faceva un’iniezione. Era impressionante, perché Alessandro gli diceva: “Sono qui per aiutarti. Lo sai che sono qui per aiutarti!”».

L’INCONTRO CON L’EUCARISTIA
Alessandro e sua moglie, nonostante i tanti impegni di lavoro, non rinunciava mai ad incontrare settimanalmente il Signore. A volte ad Anaurilândia non c’era il sacerdote e così la domenica i Nottegar si facevano un centinaio di chilometri in automobile su strade sterrate piene di buche per andare a Messa. L’infermiera Neuza de Sá Cavalcante lo ha testimoniato così: «Mi sembrava strano, perché loro andavano solo per ricevere l’Eucaristia, per ricevere Gesù, e pensavo: “Che sciocchi! Perché fare questo? Dio lo sa che qui il prete ora non c’è”. Ma loro andavano, nonostante il sacrificio, con una polvere e una fatica grande. Dicevo: “Ma, Luisa, ne avete di coraggio! Non avete paura?”. E Sandro diceva: “È importante ricevere Gesù nell’Eucaristia”».

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