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Arabia Saudita: cade la maschera (e anche quella dell’Occidente legato ad essa)

john kerry- and king abdullah 2014

US Embassy Riyadh-cc

Aleteia - pubblicato il 30/09/15

Il Paese tenta di assumere un'immagine di lotta al terrorismo jihadista, ma arresta, tortura e assassina i suoi oppositori, esponendone i cadaveri su croci pubbliche

L’indignazione internazionale suscitata a gennaio dalla condanna del blogger Raif Badawi a mille frustrate e dieci anni di prigione è stata ravvivata questo mese dalla notizia che un giovane sciita di 21 anni è stato condannato ad essere impiccato e a vedere il suo corpo poi crocifisso ed esposto al pubblico fino all’imputridimento (!) per aver partecipato alle proteste contro il Governo nel 2012, quando aveva 17 anni.

La scorsa settimana, un impressionante tumulto vicino a La Mecca ha provocato la morte di oltre 750 pellegrini, rimasti schiacciati. Questo tipo di massacro non è raro nella storia dei pellegrinaggi obbligatori che ogni seguace dell’islam deve realizzare a La Mecca almeno una volta nella vita, ma ha suscitato l’ira di tutti i Paesi musulmani, che hanno sottolineato errori grossolani nell’organizzazione – a cominciare dall’Iran, intaccando gli sforzi di riconciliazione tra la monarchia araba sunnita e la repubblica iraniana sciita.

Oltre a tutto questo, l’ONU affronta una tempesta di proteste dopo aver nominato l’Arabia Saudita alla guida del gruppo consultivo del suo Consiglio per i Diritti Umani – un assurdo che equivarrebbe a dare al dittatore della Corea del Nord il Premio Nobel per la Pace.

L’indignazione è più che comprensibile quando tutti sanno che l’Arabia Saudita è una monarchia islamista e assolutista governata dalla sharia, la legge islamica, in cui ogni partito politico è proibito e la mutawa, o polizia religiosa, persegue qualsiasi religione che non sia l’islam sunnita (lo stesso islam sciita è tollerato in un’unica provincia).

La monarchia saudita sa tuttavia che l’Occidente non vuole correre il rischio di rompere i suoi rapporti con lei. Il motivo è il petrolio, ovviamente, ma anche la certezza degli Stati Uniti e dei loro alleati di tenere un piede nel Golfo Persico grazie a questa partnership con Riad.

L’Arabia Saudita ha inviato il numero due della sua diplomazia (Nizar Al-Madani) a partecipare alla marcia di protesta a Parigi, l’11 gennaio, per gli attentati contro la rivista Charlie Hebdo, ma i casi recenti hanno smascherato l’ipocrisia di un regime assolutista che usa l’interpretazione più rigorosa dell’islam per assoggettare la sua popolazione; un regime che non contento di arrestare, torturare e assassinare i suoi oppositori ne espone i cadaveri su croci pubbliche finché non imputridiscono; un regime che ha censurato anche la rivista National Geographic quando la copertina riportava papa Francesco – un soggetto pericolosissimo per l’incolumità di qualsiasi dittatura, ancor più di una che si rifugia nell’uso estremista della religione per calpestare i diritti umani.

Che tipo di “pace” ci si può aspettare da un mondo con “arrangiamenti diplomatici” di questo tipo?

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

Tags:
arabia sauditadiritti umani
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