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La mano tesa del Sinodo su conviventi e divorziati risposati

The Ironclad Biblical Case Against Divorce and Remarriage Avanguard Photography – it

Avanguard Photography

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 22/09/15

Trovare le formule giuste per integrarli a pieno nella vita cristiana. Questo è l'obiettivo indicato da tre autorevoli vescovi e un eminente teologo

Aperture verso le famiglie formate da conviventi e verso i divorziati risposati. Si allarga sempre più il novero delle personalità del mondo della Chiesa che viaggia in questa direzione. Il Sinodo inizia tra due settimane, il prossimo 4 ottobre, e dall’assemblea dei Padri sinodali dovranno fuoriuscire messaggi ben definiti su questi argomenti.

“SI TORNA AL VANGELO DELLA FAMIGLIA”

Secondo l’arcivescovo di Cheti-Vasto, mons.Bruno Forte, segretario speciale del Sinodo e teologo tra più ascoltati gli obiettivi sono due: tornare ad annunciare il Vangelo della famiglia e mostrare nei confronti delle famiglie ferite un’accoglienza non più intessuta soltanto di buoni propositi.

SCUOLA DI UMANITA’

«Innanzi tutto – spiega ad Avvenire (21 settembre) – mi sembra opportuno ricordare le aspettative che il Papa ripone in questo Sinodo. In un momento storico in cui la famiglia è spesso in crisi per diversi motivi e in cui spesso si preferisce la semplice convivenza al matrimonio, Francesco desidera che si torni ad annunciare nella sua pienezza e nella sua verità il Vangelo della famiglia e del matrimonio, si torni a spiegare che la famiglia è scuola di umanità, di socializzazione, di ecclesialità. In secondo luogo c’è l’esigenza di esprimere alle famiglie ferite e alle persone impegnate in un nuovo vincolo la misericordia che Dio ha per ciascuna di loro».

INTEGRARE I DIVORZIATI RISPOSATI

Sul fronte dei divorziati risposati, però, nessuna decisione frettolosa: «Accoglienza e di attenzione non portano necessariamente alla riammissione al sacramento dell’Eucaristia. La prima necessità è quella di integrare nuovamente queste persone nella comunità. Sull’eventuale riammissione all’Eucaristia il Sinodo farà le sue proposte e, in ultima istanza, spetterà al Papa decidere».

L’APERTURA AL PENTIMENTO

Il primo punto «su cui tutti convergono», evidenzia Forte, «è la necessità della presa di coscienza da parte della persona degli errori commessi e l’apertura del cuore al pentimento. Non si tratta di una scorciatoia. La presa di coscienza riguarda la consapevolezza di aver fallito rispetto al disegno di Dio. Il pentimento schiude al cambiamento interiore»

LA “DIREZIONE” DI UNA CONVIVENZA

Allo stesso modo sui conviventi bisogna ragionare su quegli strumenti che li possano indirizzare più agevolmente verso il matrimonio. «I criteri di simpatia verso i conviventi sono dettati dalla presenza nella loro unione del desiderio di fedeltà, stabilità, apertura alla vita. E quando si coglie che questo desiderio possa essere coronato dal sacramento del matrimonio».

CONVIVENZA DOPO MATRIMONIO FALLITO

Altro caso è quello di una convivenza dopo un matrimonio fallito. «Quando c’è una convivenza irreversibile, soprattutto con la presenza di figli nati dalla nuova unione, tornare indietro vorrebbe dire venire meno agli impegni presi. E questi impegni comportano doveri morali che vanno ottemperati in spirito di obbedienza alla volontà di Dio che chiede fedeltà a questa nuova unione. Quando esistono questi presupposti, allora si può considerare un’integrazione sempre più profonda alla vita della comunità cristiana. Fino a che punto? Toccherà al Sinodo proporre e al Papa decidere».

UNA CORRETTA “VIA PENITENZIALE”

Apertura e prudenza anche per il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano. Sul fronte dei divorziati risposati osserva: «La formula dell’Instrumentum laboris è articolata perché riflette la ricchezza dei contributi dei padri sinodali durante l’Assemblea straordinaria dello scorso anno. Per quanto riguarda la cosiddetta “via penitenziale”: che cosa s’intende con questa espressione? Un cammino di conversione che implichi un superamento della norma? Una sorta di “pena” per regolarizzare la propria situazione? Come ho detto è necessario approfondire ancora» (Avvenire, 19 settembre).

NO ALL’ “OIKONOMIA”

Scola non sembra orientato ad avallare per il mondo cattolico la dottrina ortodossa della “oikonomia”. «Non è contemplata nemmeno dagli ortodossi come un principio generale e, ancor meno, come una norma che possa essere stabilita e applicata indistintamente a tutti. Nella tradizione latina si parla di “epicheia”, che non è un’eccezione alla norma, ma l’opportunità di andare, nel singolo caso, fino in fondo al principio di giustizia che la norma propone».

IL VERBO “ACCOMPAGNARE”

Mano tesa anche dall’arcivescovo di Ancora-Osimo, mons. Edoardo Menichelli, che in passato è stato anche presidente della commissione episcopale Cei per la famiglia e la vita. «Il verbo chiave resta “accompagnare” – dice Menichelli al quotidiano dei vescovi (16 settembre) – La Chiesa troverà le strade giuste, nella consapevolezza che innanzitutto è Dio che opera nelle coscienze delle persone e che “misura” a suo modo le scelte dei suoi figli. Se la Chiesa accompagna, se è madre che ama, sarà consolata anche da figli che si convertono. Per il resto, il rapporto con Dio è personale e la Chiesa oltre che educare e accompagnare, non credo che possa fare altro».

EDUCARE ALL’UNIONE PER SEMPRE

Il vescovo di Ancona punta l’indice sopratutto sull’educazione dei giovani alla cultura del matrimonio sacramentale come antidoto alla convivenza sempre più in voga: «Raddoppiare gli sforzi per trovare modalità più efficaci, sempre nel segno del Vangelo, per accompagnare i giovani che guardano con crescente preoccupazione all’impegno “per sempre” – sentenzia Menichelli – ma occorre far presto, non avere paura di confrontarsi con una società che non è mai come noi la vorremmo. E poi non tirarsi indietro di fronte alla sfida dell’educazione ai valori che contano, perché «educare all’affettività e alla sessualità dà senso alla vita».

IL PECCATO GRAVE

Secondo il rettore dell’Università cattolica di Lovanio, Rik Torfs, ascoltato da Il Foglio (17 settembre) «Papa Francesco vuole chiaramente allargare la possibilità di ricevere la comunione anche a molti divorziati risposati. A mio modo di vedere, egli sta agendo su due fronti. Da un lato il suo insegnamento sembra implicare che ci sono casi in cui, nel foro interno, i divorziati risposati non sono in stato di peccato grave, perché ignari della colpa. Il peccato ha sempre elementi soggettivi, che non possono essere conosciuti nel foro esterno. Anche se la coppia non vive come fratello e sorella, ma ha rapporti sessuali, potrebbe non essere in stato di peccato grave».

“NON SONO SCOMUNICATI”

Il Papa, prosegue Torfs, «ha chiaramente in mente questa possibilità quando sottolinea che i divorziati risposati non sono ‘scomunicati’. Ricordiamoci che il canone 915 impedisce di ricevere la comunione non solo a chi è in situazione di peccato grave manifesto – come, per prassi, si considerano i divorziati risposati – ma anche a chi incorre in una scomunica».

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