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Che sta succedendo in Siria?

Bashar El Assad ar – it

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Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 10/09/15

Lo stallo che sta provocando milioni di profughi sta per essere superato o aggravato dal maggiore intervento russo a favore di Damasco?

Di Siria nei media italiani si parla di recente quasi esclusivamente per determinare da dove arrivino le migliaia di profughi che chiedono asilo in Europa. Molto meno – invece – sul perché e come essi siano divenuti “profughi”.

La guerra civile in Siria

Il conflitto siriano è ormai entrato nel suo quinto anno e, dopo più di 250.000 vittime e 7 milioni di sfollati, di cui più di 4 milioni rifugiati all’estero (ed è bene ricordare che solo una piccolissima parte di questi sceglie la via per l’Europa, mentre la grandissima maggioranza è ripartita tra Turchia, Libano e Giordania), la situazione sul campo continua a segnare uno stallo che sembra senza uscita. Le forze lealiste di Bashar al-Assad, nonostante controllino ormai meno di un terzo del territorio di quella che era la Siria a inizio 2011, sembrano resistere agli attacchi dei ribelli. Questi ultimi, del resto, non costituiscono più un fronte unico, ma sono divisi in decine di sigle e gruppi. E, in tutto ciò, le forze dell’autoproclamatosi Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi (o, più semplicemente, l’ISIS, Stato Islamico) controllano ormai buona parte del nord-est del paese con le sue risorse petrolifere, a tal punto da aver stabilito nella città siriana di Raqqa, e non in Iraq, la propria capitale (Ispi, 10 settembre).

A tutti questi “attori” sullo scenario siriano e mediorientali, si sommano moltissimi altri sia di tipo statale (Iran, Russia, Stati Uniti, Emirati, Arabia Saudita) sia invece di tipo informale, come i gruppi di Hezbollah o i curdi o ancora Al-Qaida.

Da mesi – a causa di diverse strategie geopolitiche – tutti questi paesi e gruppi, compresa ma in misura meno attiva l’Unione Europea, hanno soffiato sul fuoco della polveriera siriana rendendo difficile porre fine al conflitto. Assad è un leader dispotico vicino all’ideologia Baath e appartenente alla minoranza religiosa alawita (che è parte dello sciismo) che ha represso con la violenza e la sistematica violazione dei diritti umani ogni tipo di opposizione interna. L’attuale guerra civile è scoppiata quando l’intera area è stata sconvolta dalla cosiddetta “Primavera Araba”.

La risposta ai movimenti popolari di protesta è stata la dichiarazione da parte del regime di “terrorismo”. Nel 2013 dopo l’accusa da parte di Usa e Ue di aver bombardato civili con armi chimiche la sensazione di un intervento militare da parte della comunità internazionale si è fatto concreto. La diplomazia ha però evitato uno scenario simile a quello iracheno, pur senza riuscire a risolvere la crisi interna aggravata nel frattempo dalla radicalizzazione di una parte dell’opposizione siriana e l’ascesa dell’Isis.

La svolta internazionale

In queste settimane, qualcosa sembra si stia muovendo. Da un lato la proposta francese di effettuare bombardamenti contro le forze jihadiste dello Stato Islamico in Siria, è stata accolta con favore dal Regno Unito. Dall’altra la Russia sta fornendo assistenza alle truppe siriane perché sono «l’unica forza che può opporre resistenza» all’Isis, ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, sottolineando che «semplicemente non ci sono altre forze organizzate ed efficienti» in quella regione. Gli specialisti militari russi si trovano in Siria per addestrare i soldati di Damasco nell’uso delle attrezzature belliche arrivate dalla Russia e non partecipano al conflitto, ha tuttavia precisato lo stesso Peskov (Il Sole 24 ore, 10 settembre).

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“Spero che le notizie sulla presenza russa siano meno gravi di quanto appaiono”: se Mosca “avesse l’illusione di risolvere mano armata la situazione sarebbe una complicazione del quadro, uno sviluppo negativo”, ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a Sky Tg24. Il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov ha ribadito in una telefonata con il segretario di Stato Usa John Kerry la “necessita’ di respingere in modo congiunto i gruppi terroristici che hanno occupato una considerevole parte della Siria e che stanno minacciando la sicurezza internazionale”. “Il maggior impatto della lotta contro questi terroristi lo sta sostenendo l’esercito siriano”, ha aggiunto, citato dalle agenzie russe. Ma la posizione degli Stati Uniti è chiara: “La crisi dei rifugiati è conseguenza delle condizioni orrende in Siria. Quello che serve è una soluzione diplomatica. E Assad deve andare via”, ha ribadito Eric Schultz, portavoce della Casa Bianca (Tiscali, 10 settembre).

Siamo vicini ad una escalation del conflitto? Oppure le posizioni delle potenze mondiali convergeranno sulla necessità di fermare militarmente l’Is e poi tenteranno di avviare una trasizione di governo, facendo uscire di scena Assad ma favorendo una personalità in continuità con le aspettative dell’Iran? Sembra l’opzione più promettente, ma la storia non è mai lineare…

La diplomazia vaticana

Nel frattempo, a pochi giorni dall’arrivo negli Stati Uniti di Papa Francesco e del suo discorso all’ONU, dove assai probabilmente parlerà della situazione dei profughi (Associated Press, 9 settembre), è possibile che Vladimir Putin tenti di avere un nuovo incontro con il Pontefice prima o dopo il discorso all’Assemblea Generale (New York Times, 9 settembre). E’ un segnale importante, già nel 2013 l’appello di Papa Francesco affinché non le armi ma la diplomazia e la pace fossero usate per dirimere la questione siriana ha sicuramente avuto un peso sull’opinione pubblica occidentale, intervento che la Russia salutò con grande favore, riconoscendo in qualche misura l’autorità morale del Vescovo di Roma.

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