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Più operatori e meno detenzione, così la Chiesa vuol superare l’emergenza carceri

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 20/07/15

Don Virgilio Balducci: quello degli operatori è un lavoro faticoso, il rischio suicidi si combatte con monitoraggio e riflessione

Ha usato un lenzuolo e, impiccandosi, nella cella in isolamento del carcere Regina Coeli, si è tolto la vita. La Procura di Roma e il Dap hanno aperto un’inchiesta sul suicidio di Ludovico Caiazza, arrestato con l’accusa di aver selvaggiamente ucciso il gioielliere di Prati Biancarlo Nocchia. Caiazza, 32 anni, napoletano residente in un quartiere periferico di Roma, aveva precedenti per spaccio, era tossicodipendente e in cura al Sert di zona (La Stampa, 20 luglio).

2425 MORTI IN 15 ANNI
Il portale Ristretti.org, che si occupa delle problematiche inerenti le carceri condensa nel dossier "Morire di carcere: dossier 2000 – 2015" i numeri impressionanti morti avvenute in cella (suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, overdose): ben 2425. Con due anni neri, il 2010 e il 2011 che hanno fatto registrare rispettivamente 184 e 186 morti.

I NUMERI DELL’EMERGENZA
Un dramma che si registra ogni anno in penitenziario che ci costano moltissimo (3 miliardi di euro l’anno), funzionano peggio di quelle degli altri paesi europei (il tasso di recidiva, cioè di chi torna a delinquere dopo la scarcerazione, è molto alto) e continuano a violare i diritti dei detenuti (il sovraffollamento è ancora al 118 per cento) (Corriere della Sera, 20 luglio).

IL LAVORO DELLA CHIESA
Di fronte a questa emergenza, che i media a volte faticano a sollevare, c’è un lavoro di persone che prova ad alleviare le sofferenze dei detenuti. Ed evitare che si possa arrivare a gesti come quello compiuto da Caiazza e molti altri. Cappellani, religiosi, volontari vicini alla Chiesa agiscono dietro le quinte di un sistema giunto al collasso già da molti anni.

LIBERARSI DA UN PESO
Don Virgilio Balducchi, Ispettore generale dei cappellani del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e del dipartimento della giustizia minorile, evidenzia ad Aleteia: «Nel momento in cui una persona si rende conto di ciò che ha commesso, della gravità dell’atto compiuto, allora questo senso di negatività implica in alcuni casi il desiderio di liberarsi dal peso e questo può dare adito al pensiero del suicidio»

SITUAZIONE DIFFICILMENTE GESTIBILI
Don Virgilio avverte: «Bisogna fare molta attenzione perchè queste situazioni all’interno delle carceri sono molto difficili da gestire. Vanno monitorate in maniera particolare. Ad esempio, la direzione del carcere può segnalati casi verso i quali bisogna aumentare maggiori controlli, ma nella mia esperienza ho appreso che nonostante tutte le attenzioni, gesti come il suicidio sono difficilmente prevedibili. Quando il male compiuto diventa insopportabile e non si vuole affrontare da nessun punto di vista, scatta quella soppressione di se stesso che ha tempi che non si possono definire».

NON C’E’ AUTOMATISMO
Il parroco, che coordina la rete di assistenza della Chiesa nelle carceri sottolinea come «il peso del male» sia «una cosa tremenda». «Quando non si riesce a vedere un futuro minimo nella propria vita, le sbarre alimentano quel buco nero, ma non si può dire che ci sia automatismo tra la vita in carcere e il suicidio».

RIFLESSIONE CONTRO IL DISAGIO
In questo contesto il ruolo del cappellano, dei religiosi e dei volontari «è quello di provare a far riflettere queste persone, che sono in una situazione di grande delicatezza psicologica. Una volta mi diceva un detenuto: voglio togliermi la vita perché così la mia famiglia non soffrirà più per quello che ho commesso io. Temeva che i suoi familiari fossero giudicate per il male da lui commesso».

USCIRE FUORI DAL TUNNEL CON DIO
In questi casi «la fede può essere fondamentale. Dio – afferma l’Ispettore generale dei cappellani del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – può accompagnarti, può aiutarti a far capire che è ancora possibile costruire una vita che tende al bene. Un barlume ci può ancora essere!
La luce in fondo al tunnel è possibile». La Chiesa mai come in questa fase sta spingendo, per una «maggiore attenzione nei confronti detenuti. Le carceri sono pieni di disperati, spesso tossicodipendenti e con problemi mentali. Il lavoro degli operatori è molto faticoso».

LA TESI DI MANCONI
Allora quali rimedi porre di fronte all’emergenza carceri? La Chiesa ha una ricetta? Intanto c’è chi, come il senatore democratico Luigi Manconi, ha fatto molto discutere con il suo libro "Abolire il carcere" (ed. Chiarelettere), dove sostiene l’abolizione dei penitenziari perché inutile e dannoso. Perché costoso, perché produce distorsioni nella società, perché esclude e moltiplica i delitti (FanPage.it, 20 luglio).

ABOLIZIONE DELLE CARCERI
Il presidente della Commissione Diritti Umani sostiene che al posto della detenzione si possono applicare misure alternative come avviene in diversi Paesi Europei, dove la pena in carcere è assolutamente residuale (una ristretta percentuale). Per gli autori del libro, più sicurezza per i cittadini si ottiene con una rimodulazione della pena: non la stessa per tutti (come il carcere) ma che cambi per ogni tipologia di reato e per ogni soggetto.

PIU’ LAVORI SOCIALMENTE UTILI
La tesi di Manconi è radicale, però in questo punto si incrocia con le parole di Don Virgilio. «Sul fronte dei reati minori, una soluzione per alleviare l’emergenza può essere quella di abbattere tali reati e favorire uno sconto della pena attraverso i lavori socialmente utili. La giustizia italiana sopratutto nel campo penale si deve impegnare a trovare nuove strade. La pena deve avere un senso e per averlo deve allontanare il detenuto dal male e indurlo a far del bene. Allora quale migliore occasione – conclude l’Ispettore dei cappellani italiani – se non rimettere in discussione quella stessa persona, affidandogli un ruolo nella società?».  

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