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Come annunciare la vita vera quando a volte vivo cose false?

EVANGELIZACIÓN EN SPIAGGIA, SAINT RAPHAËL (FRANCIA) – it

© David LATOUR /CIRIC

padre Carlos Padilla - pubblicato il 14/07/15

La chiamata ci dà la capacità, l'importante è essere inviati

Gesù invia i suoi in missione.

Marco parla dell’invio dei dodici: “In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due”.

In Luca vediamo che ne invia settanta, in quella che sembra un’allusione ai settanta popoli di cui si compone l’umanità secondo la tavola etnografica della Bibbia (Gn 10):

“Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: ‘La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi’”.

Invia un numero superiore e vuole abbracciare tutti i luoghi della terra. Sottolinea che la messe è abbondante, e li manda come pecore in mezzo ai lupi.

Mi piace questa missione prima della Pentecoste, ma mi sconcerta. Non so perché li invia in mezzo alla sua vita, se non era così necessario. Avrebbero vissuto senza di Lui più avanti, quando Lui non ci fosse stato più. Allora la missione sarebbe stata sul serio. Ora sembra un saggio, una prova. Non so.

Forse Gesù pensava che il cuore dei suoi si sarebbe ampliato perdendo le proprie certezze e vedendo tanta necessità. Li avrebbe aiutati a vedere di cosa erano capaci. Forse avrebbero scoperto il tesoro che portavano dentro. Un piccolo rischio in mezzo al cammino in cui Gesù cura e veglia su tutti. Un’avventura.

La verità è che non tengo sempre presente la portata di questa missione. Quali sono stati i suoi frutti? Cos’hanno ottenuto? Erano preparati? Non avevano vissuto l’aspetto centrale del Vangelo. Come avrebbero fatto?

Avrebbero annunciato la venuta del Regno di Dio. Qualcosa stava cambiando. Ma non sapevano tante cose… Mi sento anch’io come loro. Povero, incapace. Spezzato, fragile.

Annuncio Cristo risorto e inciampo di nuovo nella morte nella mia vita. Come annunciare la vita vera quando molte volte vivo cose false?

Mi piace la coerenza. È ciò che ci aspettiamo da chi predica. Vogliamo che le persone siano tutte d’un pezzo. Quello che dicono dev’essere quello che fanno. Ci infastidiscono la menzogna e la falsità. Non capiamo un discorso senza opere.

Predicare a parole può essere semplice. Predicare con silenzi, con gesti, con opere, è definitivo. I grandi santi hanno avuto poche parole e molte opere, pochi discorsi e molto amore.

Mi sento oggi come quei discepoli tanto incapaci di dare la vita. Seguivano Gesù sulla via. Parlavano del regno e nel proprio cuore pensavano a un altro regno. Si saranno sentiti impotenti. Non erano capaci di compiere i miracoli che faceva il maestro.

Le loro parole avevano forza? Forse sì, a volte il discorso umano può essere persuasivo.

Erano amici di Gesù. Forse questo per il momento bastava. Vivevano con Lui, mangiavano dal suo stesso piatto, ascoltavano in privato la spiegazione più profonda delle sue parole. L’amore rende simili, e loro amavano molto Gesù.

È vero che non erano ancora capaci di dare la vita. Erano deboli, fragili. Sognavano quel regno che avrebbe cambiato la loro vita sulla terra. Erano disposti a lottare. Erano appassionati. Ma erano capaci?

È vero ciò che già sappiamo: la chiamata ci dà la capacità. Quando Gesù pronuncia il nostro nome, ci dà la forza per metterci in cammino. Questo mi rallegra e mi calma.

Ciò che conta è essere inviati, chiamati da un altro che dà un senso alla nostra esistenza. Essere inviati è qualcosa di passivo che richiede solo il mio sì previo, la mia gioiosa disponibilità. Sì, voglio. Adsum. Sono disposto. Importa quel sì prima dell’azione. Quel sì sincero e povero.

Quanta paura nel loro cuore prima di mettersi in cammino! Che avrebbero fatto? Senza Gesù era possibile fare qualcosa?
Avevano bisogno di molta preghiera, di molta unione con Gesù.

Sono inviati perché Gesù ha guardato il loro cuore, la loro generosità, i loro sogni, il loro sguardo puro, come quello dei bambini.

Lo riconosco, a volte mi fermo ai dati, alle capacità, alle cose oggettive. Mi importa più ciò che hanno fatto che come lo hanno vissuto e cosa ha significato nella loro vita. Credo più nella capacità umana che nella grazia di Dio.

Mi manca la fede di quei poveri uomini che si aprono a Gesù e confidano. Credono davvero che Gesù conti su di loro, che abbia bisogno di loro. Non stanno agendo, stanno vivendo davvero, con la passione dello stesso Gesù.

Commenta BenedettoXVI: “Il fatto che Gesù chiami alcuni discepoli a collaborare direttamente alla sua missione, manifesta un aspetto del suo amore: cioè Egli non disdegna l’aiuto che altri uomini possono recare alla sua opera; conosce i loro limiti, le loro debolezze, ma non li disprezza, anzi, conferisce loro la dignità di essere suoi inviati”.

Gesù conosce il cuore dei suoi discepoli. Sa chi invia. Sa che sono fragili. Conosce il loro cuore ferito. La loro anima carica di dolori. Le loro paure e i loro sentimenti confusi. La loro passione, la loro gioia. Non li invia come un esercito in ordine di battaglia.

Non credo che gli importino tanto i frutti oggettivi. Egli stesso non è stato un esperto di successi materiali, quantificabili. A Gesù non importano le cifre. Guarda il cuore dell’uomo, di ogni uomo.

Gesù li chiama e li invia. Ciascuno. Dà loro la dignità di inviati. Dà loro il suo stesso potere. Chiede loro di confidare e di credere anche se sembra impossibile. Non possiedono in pienezza lo Spirito Santo. Non sono avvenute la morte e la risurrezione di Gesù. Ma sono inviati. Hanno la possibilità. E loro si lasciano inviare.

Non prendono l’iniziativa. Non chiedono di essere inviati. È Gesù che li invia. Questo dà sicurezza.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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