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Quando papa Benedetto XVI condannò la teoria del gender

Pope Benedict XVI 001 – it

Mazur/UK Catholic

Miguel Cuartero Samperi - Aleteia - pubblicato il 16/06/15

Fu lui il primo Papa a parlare esplicitamente di questa “nuova filosofia della sessualità”

In questi giorni in cui si prepara la grande manifestazione nazionale del 20 giugno a favore della famiglia naturale, si parla molto di teoria gender e del tentativo dello stato di inserire questo insegnamento nei programmi scolastici.

Papa Francesco si è più volte pronunciato su questa tematica condannando l’ideologia del gender come “uno sbaglio della mente umana” una “colonizzazione ideologica” (…) “che crea tanta confusione” (frasi pronunciate a marzo del 2015 durante la Visita Pastorale a Pompei e Napoli). Rivolgendosi alla Conferenza Episcopale del Porto Rico, il Pontefice ha affermato che “la complementarità tra l’uomo e la donna (…) è oggi messa in discussione dalla cosiddetta ideologia di genere, in nome di una società più libera e più giusta”. Durante l’udienza generale del 15 aprile, riferendosi alla differenza sessuale tra uomo e donna, papa Francesco si è chiesto “se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa”. Sono solo alcuni esempi tra i tanti pronunciamenti di papa Francesco sul tema delle teorie gender e della “colonizzazione ideologica” a cui sono sottoposti i bambini nelle scuole statali.

A partire dal dicembre del 2014, nelle sue consuete Udienze del mercoledì, Francesco ha dedicato diverse catechesi alla famiglia così come è presentata e vissuta dalla tradizione della Chiesa e della società occidentale: l’unione di un uomo e di una donna vissuta nell’amore e nel dono di sè, un’unione indissolubile, fedele e feconda – aperta alla vita – capace di accogliere, curare ed educare i figli che Dio vorrà donar loro. Queste catechesi sulla famiglia si collocano in linea temporale tra le due Assemblee Sinodali dedicate alla famiglia: il Sinodo Straordinario già concluso (5-19 ottobre 2014) e il Sinodo Generale ordinario previsto dal 4 al 19 ottobre di quest’anno sul tema “Gesù Cristo rivela il mistero e la vocazione della famiglia”.

Benché negli ultimi mesi, in modo particolare durante le riunioni sinodali, sia trapelata la paura di un cambiamento nella dottrina della Chiesa sulla dottrina della famiglia, si è calcolato che, dalla chiusura del Sinodo Straordinario fino a metà maggio, il Santo Padre ha effettuato più di 40 interventi sul tema della famiglia tutti in linea con la dottrina e la pratica tradizionale in materia familiare; a fare problema sono le notizie diffuse dai grandi organi di stampa internazionale, sempre pronti a sottolineare e a diffondere possibili e presunti cambiamenti nella prassi o nella dottrina della Chiesa, piuttosto che il contenuto essenziale dei pronunciamenti papali.

Ma Francesco non è il primo pontefice ad aver pubblicamente condannato le teorie del gender. E’ vero che Giovanni Paolo II dedicò buona parte del suo magistero alla morale sessuale e familiare (la cosiddetta “Teologia del corpo”) tanto da meritare il titolo di “papa della famiglia”, ma il primo papa a parlare esplicitamente delle teorie gender fu Benedetto XVI.
Era il 21 dicembre del 2012 quando il Santo Padre Benedetto XVI, rivolgendosi alla Curia Romana in occasione degli auguri natalizi, condannò fermamente la teoria gender. Nel suo discorso il papa Benedetto si volle soffermare su alcuni “momenti salienti” del suo ministero accaduti durante l’anno che stava per terminare. Tra i vari avvenimenti ricordò la sua visita pastorale all’arcidiocesi di Milano e la sua partecipazione alla “festa della famiglia” ossia l’VII Incontro Mondiale delle Famiglie, avvenuto nel mese di giugno.

Parlando della famiglia, della crisi che la minaccia e delle sfide da affrontare, il papa citò il Gran Rabbino di Francia Gilles Bernheim e il suo libro “Quello che spesso si dimentica di dire. Matrimonio omosessuale, omogenitorialità, adozione” (ed. Belforte, € 10). Il testo del Rabbino Bernheim è stato definito da Benedetto “un trattato accuratamente documentato e profondamente toccante” che mostra l’attentato a cui oggi  è sottoposta la famiglia. E’ qui che papa Benedetto parla della “nuova filosofia della sessualità” che minaccia, non solo la famiglia, ma il fondamento stesso di “ciò che significa l’essere uomini”.

Come al solito, Benedetto XVI riuscì a offrire in poche righe il significato più profondo del problema, senza che il contenuto venisse sacrificato in favore della sintesi. In poche parole l’attuale Papa Emerito ha sintetizzato il senso di questa particolare “filosofia della sessualità” definendola senza mezzi termini “profondamente erronea”:

La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. (…) Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: “Maschio e femmina Egli li creò” (Gen 1,27).

Vale però la pena, in questi tempi, soffermarsi a rileggere con attenzione il testo completo per cogliere tutta l’ampiezza della problematica e la profondità dell’argomentazione magistralmente sintetizzata dal pontefice tedesco:
La grande gioia con cui a Milano si sono incontrate famiglie provenienti da tutto il mondo ha mostrato che, nonostante tutte le impressioni contrarie, la famiglia è forte e viva anche oggi. È incontestabile, però, anche la crisi che – particolarmente nel mondo occidentale – la minaccia fino nelle basi. Mi ha colpito che nel Sinodo si sia ripetutamente sottolineata l’importanza della famiglia per la trasmissione della fede come luogo autentico in cui si trasmettono le forme fondamentali dell’essere persona umana. Le si impara vivendole e anche soffrendole insieme. Così si è reso evidente che nella questione della famiglia non si tratta soltanto di una determinata forma sociale, ma della questione dell’uomo stesso – della questione di che cosa sia l’uomo e di che cosa occorra fare per essere uomini in modo giusto. Le sfide in questo contesto sono complesse. C’è anzitutto la questione della capacità dell’uomo di legarsi oppure della sua mancanza di legami. Può l’uomo legarsi per tutta una vita? Corrisponde alla sua natura? Non è forse in contrasto con la sua libertà e con l’ampiezza della sua autorealizzazione? L’uomo diventa se stesso rimanendo autonomo e entrando in contatto con l’altro solo mediante relazioni che può interrompere in ogni momento? Un legame per tutta la vita è in contrasto con la libertà? Il legame merita anche che se ne soffra? Il rifiuto del legame umano, che si diffonde sempre più a causa di un’errata comprensione della libertà e dell’autorealizzazione, come anche a motivo della fuga davanti alla paziente sopportazione della sofferenza, significa che l’uomo rimane chiuso in se stesso e, in ultima analisi, conserva il proprio “io” per se stesso, non lo supera veramente. Ma solo nel dono di sé l’uomo raggiunge se stesso, e solo aprendosi all’altro, agli altri, ai figli, alla famiglia, solo lasciandosi plasmare nella sofferenza, egli scopre l’ampiezza dell’essere persona umana. Con il rifiuto di questo legame scompaiono anche le figure fondamentali dell’esistenza umana: il padre, la madre, il figlio; cadono dimensioni essenziali dell’esperienza dell’essere persona umana”.

Il Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim, in un trattato accuratamente documentato e profondamente toccante, ha mostrato che l’attentato, al quale oggi ci troviamo esposti, all’autentica forma della famiglia, costituita da padre, madre e figlio, giunge ad una dimensione ancora più profonda. Se finora avevamo visto come causa della crisi della famiglia un fraintendimento dell’essenza della libertà umana, ora diventa chiaro che qui è in gioco la visione dell’essere stesso, di ciò che in realtà significa l’essere uomini. Egli cita l’affermazione, diventata famosa, di Simone de Beauvoir: “Donna non si nasce, lo si diventa” (“On ne naît pas femme, on le devient”). In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma “gender”, viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi.La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: “Maschio e femmina Egli li creò” (Gen 1,27).

No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà. La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. Se, però, non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria. Bernheim mostra come essa, da soggetto giuridico a sé stante, diventi ora necessariamente un oggetto, a cui si ha diritto e che, come oggetto di un diritto, ci si può procurare. Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo”.

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