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Pensare i preti di domani

Pope Francis greets the priests during a meeting with the clergy of Rome

© ServizioFotograficoOR/CPP

Finesettimana.org - pubblicato il 25/05/15

Due arcivescovi emeriti si interrogano sull'evoluzione del ruolo del prete

di Bruno Bouvet

La scelta del plurale non è per nulla anodina. Nei loro rispettivi libri, Mons. Albert Rouet, arcivescovo emerito di Poitiers, e Mons. Gérard Defois, arcivescovo emerito di Lilla, utilizzano costantemente il plurale per parlare dei preti, non volendo concepire “il” prete come un assoluto, un ministero totalmente separato. E, per questi due “grossi calibri” dell'episcopato francese, è assolutamente fuori questione mettere il prete su un piedistallo, cosa che, avverte Mons. Rouet, porta “a rafforzare la sua identità astraendolo dal popolo, a renderlo visibile”. Questo, dice, significa confondere “visibilità e presenza, onorabilità sociale e servizio”.

Mons. Defois dice la stessa cosa, fin dall'inizio della sua intervista con Yohan Picquart, 31 anni, membro della famiglia francescana, insegnante, giornalista indipendente, scrittore e laureato in teologia: “Il prete deve lottare contro il proprio narcisismo, contro il proprio bisogno di essere importante, per lasciare a Cristo tutta la libertà di agire attraverso la sua esistenza sul piano sacramentale. (…) A partire da qui, possiamo prendere coscienza che il sacerdozio non è semplicemente riservato al prete, ma che è caratteristica di ogni cristiano battezzato”.

Il lettore lo avrà capito: i due libri, che stabiliscono chiaramente la differenza spesso sconosciuta tra sacerdozio e presbiterato, non vogliono contribuire a glorificare la figura del prete e a farne una sorta di eroe dei tempi moderni, adulato da una parte sempre più minoritaria di cattolici e in lotta contro una società secolarizzata che lo classifica tra le vestigia. Il partito preso irriterà sicuramente qualcuno, in particolare certi rappresentanti della giovane generazione di preti che Mons. Rouet non risparmia. Fin dall'inizio, il vescovo emerito di Poitiers parla molto chiaramente: “Passare dal plurale (i preti) con tutto quello che implica di contingenze, di differenze, quindi di relatività delle situazioni e dei caratteri, al singolare (il prete), produce un'immagine assolutizzata indipendente dalle circostanze di tempo e di luogo. In questo modo, viene imposto un modello generale che cancella o per lo meno rende più sfumata la diversità dei ministeri possibili e l'eventualità di crearne di nuovi”.

In stili diversi, che non escludono un modo molto simile di concepire il ruolo del prete – un fatto generazionale, sicuramente – i due ex arcivescovi si propongono quindi di interrogare la storia e la teologia per ricordare i fondamenti dell'identità presbiterale in un contesto di continuo calo delle vocazioni. Mons. Rouet si basa sulla sua erudizione e su convinzioni spesso e ampiamente espresse durante il suo esercizio episcopale – nella sua diocesi di Poitiers ha avviato delle comunità locali ancora poco copiate in Francia, ma ampiamente analizzate – per lanciare un appello alla Chiesa. Dato che non ha futuro il sistema attuale di copertura del territorio gestito da preti, che sono sempre di meno, afferma senza temere di enunciare una verità dolorosa, Mons. Rouet invita a mettere in discussione questo sistema. Partendo dall'idea che la Chiesa, fin dai primi cristiani, ha sempre manifestato una grande creatività in termini di ministeri, mette in discussione – anche qui senza mezzi termini – un clero che regna in maniera assoluta. “Il potere non può essere esercitato come si impone il sacro. Non è più concepibile mantenere i laici in situazione di dipendenza, ammessi solo per aiutare. Il battesimo fa di un uomo un Figlio di Dio, sacerdote, profeta e re. Diventa urgente, quando il sacro non impedisce più di vedere, organizzare la vita della Chiesa in fedeltà a questa fede battesimale”, ritiene, precisando tuttavia che non intende rimettere in discussione il presbiterato, ma ripensare le sue missioni in relazione alle attese del popolo di Dio a cui è chiamato.

Il pensiero stimolante e graffiante di Mons. Rouet ha lo scopo di sbloccare la situazione in una istituzione che soffre in maniera molto evidente il fatto di vedere di star ripiegandosi su se stessa. La sua tesi, brillantemente difesa, alimenterà i dibattiti negli ambienti ecclesiali, non raggiungendo purtroppo un largo pubblico ormai ben lontano da questi problemi. Invece, i dialoghi tra Mons. Defois e Yohan Picquart affrontano in maniera più accessibile tutti gli interrogativi che suscita il prete nella Francia di oggi. Il discorso ci avrebbe guadagnato se fosse stato ripulito da alcune formulazioni tipiche del gergo ecclesiale, ma l'intervista abbraccia con intelligenza il tema, invitando la società intera, e particolarmente i cattolici, ad interrogarsi sul ruolo che assegna ancora al prete in un contesto totalmente nuovo. E ad immaginare quale potrebbe essere il suo ruolo domani. È ciò che fa anche Mons. Rouet, in maniera meno pacata…

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Albert Rouet, Prêtres, sortir du modèle unique, Médiaspaul, p. 326, € 23. 
​Yohan Picquart e Gérard Defois, Chrétien avec vous, prêtre pour vous. Entretien sur la vocation et le ministère des prêtres, Saint-Léger Éditions, p. 208, € 20. 

[Tratto da “La Croix” del 21 maggio 2015 (traduzione: www.finesettimana.org)]

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