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Punto Famiglia - pubblicato il 01/04/15

Una lettura approfondita del Giovedì Santo e del Triduo pasquale condotta alla luce della promessa nuziale

di Giovanna Pauciulo

La celebrazione della Pasqua è legata ai riti liturgici e alle numerose tradizioni popolari. La famiglia rimane ai margini, spettatrice più che protagonista. Questa riflessione, affidata ad una mamma, cerca di rileggere il Giovedì Santo e il Triduo pasquale alla luce della promessa nuziale, dando precise indicazioni per vivere questo tempo, centro e cuore dell’anno liturgico per dare un’impronta coniugale e familiare a questi giorni particolari.

GIOVEDÍ SANTO
Io accolgo te come mio sposo/a
Il verbo accogliere suppone il verbo donare. Nel matrimonio ciascuno può accogliere l’altro perché si dona e viceversa. É un cerchio ininterrotto di donazione e accoglienza. Così il calice è sempre pieno di amore, vi è una circolarità in cui nulla si perde ma tutto è consegnato. Nel cenacolo, a partire da quell’ultima cena, Cristo si offre per la sua sposa, la Chiesa, la comunità dei fedeli, l’umanità. Una sposa non sempre fedele e che non sempre lo accoglie. Ma proprio in ragione di questa infedeltà Egli si dà: “Prendete e mangiate… Prendete e bevete…”. L’amore di Gesù sorpassa e supera il rifiuto. E nell’invito “fate questo in memoria di me” Cristo stesso ci indica la ragione dei suoi gesti. La chiave di lettura coniugale e familiare del Giovedì Santo è il verbo donare. Gli sposi sanno bene quante volte nella quotidianità della vita coniugale e familiare è necessario esercitarsi per divenire dono per l’altro. Nel dono eucaristico del Corpo e Sangue di Cristo, gli sposi ritrovano le ragioni dell’essere l’uno dono per l’altro e insieme dono per i figli. Il darsi di Cristo nell’ultima cena è modello e via per il reciproco donarsi degli sposi e divenire perciò testimoni ed educatori nel contesto familiare.

VENERDÍ SANTO
Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia
Cristo è imprigionato, deriso, schiaffeggiato, processato, crocifisso. É l’epilogo del tradimento di Giuda. Ma anche l’esito della deliberata decisione di Cristo di consegnarsi come agnello senza colpa. Questa offerta non è indolore. Cristo sperimenta la solitudine. Questa offerta parte dal suo cuore e trova il silenzio del Padre e dello Spirito: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Non poteva essere altrimenti! Il Padre tace o almeno non interviene perché il dono del Figlio sia totale ed integro. La chiave di lettura coniugale e familiare del Venerdì Santo è il verbo offrirsi. L’amore ci interpella, ci mette in gioco, ci chiede di uscire dal comodo anonimato per assumerci le nostre responsabilità. L’amore è perciò impegno, lotta, fatica, sofferenza, condivisione, patto. Quante volte durante la quotidianità coniugale e familiare si sperimenta la solitudine dell’abbandono, l’incomprensione, l’infedeltà, la mancanza di una intimità. La tenerezza, il dialogo, la comprensione, la fedeltà, la condivisione spesso si esigono ma non si offrono. É l’amore che conduce Cristo in croce. Il crocifisso è l’emblema della forza e della follia dell’amore. L’amore ci dà la forza di raccogliere la sfida del dolore, l’angoscia e i mille perché che ogni giorno innalziamo verso il cielo. Il dolore cioè alimenta e accresce l’amore.

SABATO SANTO
Per amarti e onorarti
E Gesù emesso un alto grido spirò” (Mt 27,50). Lo Spirito di Cristo effuso sull’umanità non può fare altro che ritornare a Cristo e perciò condurre con sé la sua Sposa. Ecco allora che dentro l’evento drammatico della morte in croce prende forma l’alleanza. Dopo il grido disperato e sofferente di Cristo c’è il silenzio. Il grande silenzio della morte, ma il silenzio non è vuoto, è la condizione necessaria per permettere al Dio trino di operare. Ecco il Sabato Santo. L’attesa della resurrezione si riempie del desiderio di poter affermare la vittoria sulla morte. Cristo muore per la sua Chiesa. Nel suo darsi a lei Cristo in realtà la plasma in sposa, bella e degna. Egli si svuota fino a fare uscire il suo Spirito d’amore, Spirito che infonde ed effonde nel cuore della sua Sposa sicché essa può così riamare il suo Sposo con lo stesso Amore. La chiave di lettura coniugale e familiare è il verbo generare. L’amore, che nella sua ebbrezza conduce l’uno all’altra, racchiude in sé il dolore del distacco da sé. Amare significa morire a se stessi per accogliere l’altro ed insieme consegnarsi ai figli (la paternità). L’abbraccio coniugale si innalza su gli altri possibili gesti affettivi e allora gli sposi sperimentano la fecondità di coppia che dà vita ad una coppia nuova, al figlio e ai figli della provvidenza. Così pur sperimentando nella quotidianità il fallimento dell’amore, non riusciamo a sopprimere il desiderio di poter affermare la vittoria dell’amore sulla morte, come cantiamo nell’inno pasquale: “Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto, ma ora, vivo, trionfa”.

PASQUA DI RESURREZIONE
Tutti i giorni della mia vita
É Pasqua. La notte oscura ha lasciato il posto all’alba della resurrezione. Dio ha mantenuto le sue promesse. Non ci ha lasciati da soli. Cristo è risorto! Alleluia! Ora abbiamo la certezza dell’amore invincibile di Dio sgorgato dall’attraversamento dell’abisso infernale. Quello stesso amore che è riversato e sperimentato nella sacramentalità del matrimonio. Nella mattina di Pasqua gli sposi sperimentano tangibilmente la dissomiglianza da Cristo, la loro inadeguatezza, perché il loro patto nuziale pur essendo mistero non è mai il grande Mistero, ma se essi vivono la grazia sacramentale del matrimonio essi sono riflesso vivo, vera immagine, storica incarnazione del patto Cristo/Chiesa.

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