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Perché la Vergine Maria fa infuriare le femministe?

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padre Robert McTeigue, SJ - pubblicato il 13/02/15

Non tutti i modelli di femminilità portano alla felicità

“Perché tante donne al giorno d’oggi sembrano infelici?” è la domanda che ho affrontato nel mio ultimo articolo, in cui ho suggerito che se oggi le donne sono infelici può essere perché non hanno trovato risposte adatte alla domanda “Cosa vogliono le donne?” e alla domanda più importante “Di cosa hanno bisogno le donne?”

Ho terminato il mio ultimo articolo dicendo che “la risposta brillante e vissuta a queste domande si ritrova in Maria, Vergine e Madre”. Consideriamo questo suggerimento – che sarebbe stato ordinario qualche generazione fa, ma oggi è problematico anche all’interno di alcuni circoli cattolici e disdegnato da ampi segmenti del femminismo secolare. Sorprendentemente, ci sono notevoli parallelismi tra la diffidenza cattolica relativa a Maria e il suo netto rifiuto da parte di alcune femministe secolari.

Il punto morto sono i titoli tradizionali di Maria come Vergine e Madre. La verginità come termine di lode, e perfino come ideale, attraversa tempi duri, anche in alcuni ambienti che si definiscono “cattolici”. Perché? Siamo franchi, nel mondo occidentale contemporaneo, siamo stati tutti immersi per oltre 50 anni nella cultura del “Lo fanno tutti!” (qui, ovviamente, “lo” si riferisce al sesso fuori dal matrimonio). Dire che Maria in quanto Vergine è fondamentale per restaurare la felicità che Dio intende per le donne sarebbe una cosa difficile da vendere in questi circoli, ma non deve essere così.

Qualche anno fa, Sarah Hinlicky ha scritto uno splendido saggio provando di avere più saggezza di quanta ne lasciava intuire la sua età, Subversive Virginity (in seguito ha redatto un bel saggio anche sulla verginità maschile). Nel testo, riassume la visione del femminismo secolare sulla sessualità, visione che ha fatto presa anche su alcuni individui e comunità che si definiscono cattolici:

In base all’eredità della visione femminista, la sessualità deve essere intesa mediante i concetti gemelli di “potere” e “scelta”. Non è una questione banalmente biologica di generare figli, né una nozione più elevata di creare intimità e fiducia. A volte, sembra che il sesso non debba neanche essere fonte di piacere. L’obiettivo della sessualità femminile sarebbe affermare il suo potere sugli uomini infelici, a scopo di controllo, vendetta, piacere egocentrico o imposizione di un compromesso. La donna che smette di esprimersi nella sua attività sessuale diventerebbe vittima di una società maschilista, che pretenderebbe, a sua volta, di impedire alle donne di diventare potenti. Dall’altro lato, dicono ancora le femministe laiche, la donna che diventa sessualmente attiva scopre il suo potere sugli uomini, e presumibilmente lo esercita per la propria valorizzazione personale.

In altre parole, l’espressione sessuale femminile è un atto di potere personale e politico. In quest’ottica, la verginità è un fallimento irresponsabile nell’esercizio di questo potere. La risposta della Hinlicky a questa affermazione è incisiva:

Nessuno può rivendicare il controllo su una vergine. La verginità non è una questione di dimostrare potere allo scopo di manipolare. È un rifiuto di sfruttare e di essere sfruttata. È questo il potere reale e responsabile. Nella verginità c’è un appello innegabile, qualcosa che sfugge alla definizione dispregiativa di “ipocrita” imposta dal femminismo risentito. Una donna vergine è un oggetto di desiderio irraggiungibile, ed è proprio questa irraggiungibilità ad aumentare la sua desiderabilità. Il femminismo ha raccontato una bugia per difendere la propria promiscuità, cioè quella per cui nella verginità non c’è potere sessuale. Al contrario: la sessualità vergine ha un potere straordinario e poco comune. Non bisogna indovinare le motivazioni di una vergine: la sua forza viene da una fonte che va al di là dei suoi capricci transitori. È sessualità dedicata alla speranza, al futuro, all’amore sponsale, ai figli e a Dio. La sua verginità è, allo stesso tempo, una dichiarazione della sua matura indipendenza dagli uomini. Permette che una donna diventi una persona integra nel suo diritto, senza aver bisogno di un uomo contro il quale rivoltarsi o che completi ciò che le manca. È davvero molto semplice: non importa quando lui sia meraviglioso, affascinante, carino, intelligente, attento, ricco o persuasivo; semplicemente non può averla. La vergine non si può possedere.

La Hinlicky chiarisce che la vergine non è una stupida, non è il giocattolo di nessuno né proprietà di nessuno. È sicura della sua identità e integrità. Al di sopra di tutto, ha il potere autentico e l’indiscutibile libertà di dire “sì” o “no”. Maria Vergine è l’esempio di questa libertà. Il suo “sì” all’invito divino, il suo “fiat” alla chiamata dello Spirito Santo, è l’immagine più sublime e più viva della libertà della vergine. Il suo “sì” è libero, potente e incommensurabile.

Una libertà di questo tipo per rispondere alla chiamata di Dio è enormemente più grande del salto sconsiderato nell’onda del “tutti lo fanno”. Il “sì” detto all’angelo Gabriele dalla Vergine Maria è il modello della libertà interiore necessaria per dare un “sì” completo e autentico alla Divina Provvidenza. Il “sì” a Dio, che può derivare solo da questa libertà interiore, caratteristica della Vergine che è padrona di sé, è un elemento essenziale per ripristinare della felicità che Dio vuole per le donne. La libertà verginale di Maria, la sua indipendenza da capricci e tendenze, le ha permesso di diventare feconda in modo unico come Madre.

La maternità è un altro tesoro difficile da vendere ai giorni nostri, come ci ricorda Jonathan Last nel suo libro inquietante What to Expect When No One’s Expecting [Cosa aspettarsi quando nessuno si aspetta niente]. Nella maggior parte degli ambienti che si dicono cattolici, non si sentono riferimenti alla “paternità/maternità generosa” o “eroica”. Nella maggior parte dei programmi diocesani di preparazione al matrimonio che conosco, ci sono pochissime discussioni, quando ce ne sono, sulle “gravi ragioni” che giustificano il distanziamento tra la nascita dei figli o la decisione di non averne più, attraverso la pianificazione familiare naturale. Molte ricerche hanno indicato che coloro che si definiscono cattolici utilizzano contraccezione e aborto tanto quanto i non cattolici. La fertilità in generale, e quella femminile in particolare, viene trattata come una specie di malattia, o almeno come una condizione deplorevole da evitare e, in casi non rari, perfino “eliminare” definitivamente.

Questo non dovrebbe sorprenderci. Una cultura che non valorizza la libertà interiore della verginità non ha grandi probabilità di onorare la generosità prodiga necessaria alla maternità feconda. Rifiutando sia la verginità che la maternità, la cultura pseudocattolica e la cultura laicista respingono il carisma profondo e vissuto della donna, che è la capacità di autodonazione, il genio femminile del dono di sé che San Giovanni Paolo II ha esaltato nella sua enciclica Mulieris Dignitatem. Quando si rifiuta Maria come icona della Vergine e come icona della Madre, può davvero stupire il fatto che la nostra cultura sia così piena di donne infelici?

E cosa si può fare?

John Senior, nella sua splendida opera The Restoration of Christian Culture [La restaurazione della cultura cristiana], dice che dobbiamo reimparare con la Vergine Maria “il linguaggio dell’amore”. È un linguaggio radicato nella libertà della Vergine, che arriva all’espressione più completa nella fecondità della Madre. La sua prima articolazione è il “fiat” di Maria alla sua identità femminile donata da Dio. Come possiamo noi cattolici ricollocare al centro la saggezza di Dio rivelata attraverso Maria, la più benedetta tra le donne? Una risposta dettagliata a questa domanda sarebbe lunga, ma credo che possiamo identificare con sicurezza alcuni punti di partenza.

Il Vangelo di Luca (2,19) dice che Maria “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” .
Faremmo bene a meditare come ha meditato lei e sullo stesso argomento, rinnovando il nostro impegno con il rosario. Sarebbe bene anche rivedere le grandi opere d’arte mariane, soprattutto i dipinti dei maestri medievali e rinascimentali, nonché le icone della Chiesa bizantina, trasformando questa contemplazione in preghiera. Sarebbe infine molto saggio da parte nostra reimmergerci nelle riflessioni teologiche della Chiesa su Maria, per arrivare ad amarla nel modo in cui la Chiesa l’ha sempre amata.

La vocazione dell’uomo è amare come Dio ama, come spiega Sant’Ignazio di Loyola nella sua famosa Contemplatio. L’infelicità umana è solo un sintomo del fallimento umano ad amare. Il genio femminile della donazione di sé, tante volte lodato da San Giovanni Paolo II, trova la sua espressione perfetta in Maria, che è Vergine-e-Madre, la più libera e la più feconda di tutte le donne. Il ripristino della felicità destinata da Dio alle donne può essere effettuato solo imitando Maria.

Padre Robert McTeigue, S.J.è membro della provincia del Maryland della Compagnia di Gesù. Docente di Filosofia e Teologia, ha una lunga esperienza in direzione spirituale, ministero di ritiri e formazione religiosa. Insegna Filosofia presso la Ave Maria University ad Ave Maria, Florida, ed è noto per le sue lezioni di Retorica ed Etica Medica.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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