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Dio vuole il vero te: vulnerabile e imperfetto

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Alanna-Marie Boudreau - pubblicato il 04/02/15

Le nostre persone "virtuali" costruite con attenzione non lo colpiscono...

I suoi occhi schietti hanno nuovamente catturato i miei dopo l'assoluzione. “Non sei un angelo”, ha detto, sorridendo con una gentilezza infinita. “Né lo è nessuno di quelli che ti circondano. Non devi aspettarti questo da te stessa, o da loro – non sarebbe giusto. Cerchi il paradiso sulla terra, ma ancora non sei lì”.

Ha fatto una pausa, guardandomi. Ero del tutto allo scoperto e non riuscivo quasi a sopportare la trasparenza del suo sguardo, ma non ce la facevo a guardare da un'altra parte. Mi ha visto dentro. “Quella che tu sei è quella che Dio ama, e tutto è grazia”, ha aggiunto. Mi ha sorriso ancora una volta, e io ho ricambiato il sorriso. Il mio cuore ardeva e cantava come fa sempre quando qualcuno dice la verità nella mia debolezza. “Grazie, padre”, ho detto, uscendo poi dalla chiesa in penombra nel campus assolato dell'università che frequentavo.

Non ricordo il nome del sacerdote, né il suo volto, al di là di quegli occhi profondi; è successo quasi quattro anni fa. Ciò che ricordo è il modo in cui la sua schiettezza misericordiosa mi ha “riportato sulla terra”. Ha visto al di là del mio guscio accuratamente confezionato di intoccabilità e sicurezza di sé e ha messo il dito proprio in quell'illusione girandoci dentro. Le sue parole mi hanno risvegliato al fatto che Dio opera con persone reali, in circostanze reali, nel contesto reale della nostra vita quotidiana. Ho sempre saputo che Dio è poetico, ma quel caro sacerdote quel giorno ha fatto uscire la mia testa dalle nuvole e mi ha ricordato che Dio è anche il realista consumato.

L'illusione di avere tutto sotto controllo – spiritualmente o in un altro modo – è uno stratgemma sotto il quale prima o poi opera ogni uomo e ogni donna che pensa e respira su questa terra. In poche parole, è perché l'idea dell'Incarnazione continua a scandalizzarci, come scandalizzava la gente all'epoca di Gesù. L'idea di aver bisogno di Dio, seguita dall'idea che Dio entra nei dettagli concreti della nostra esperienza umana, è alla fin fine uno shock al sistema. “Se Dio è concepito come un Essere personale, un Qualcuno piuttosto che un Qualcosa, e come un Qualcuno che può parlare”, ha scritto Josef Pieper, “non ci si salva dalla rivelazione”. La rivelazione, come ho sperimentato nel confessionale quel giorno di qualche anno fa, è terrificante per noi, perché implica una mancanza di controllo, un arrendersi, una nudità – e richiede di accettarci come siamo, né più né meno. La cosa più importante di tutte è che richiede un'apertura all'amore incondizionato di Dio.

L'Incarnazione – la perfetta Rivelazione della vita interiore del Logos – ha spezzato tutti gli “stampi” ordinati che gli uomini si erano creati di un Dio distante che dovevano studiare e definire da una distanza confortevole. La Persona di Cristo sfida la nostra pietà laboriosa e mercenaria e mostra al mondo che Dio risponde non al merito, ma al bisogno.

È difficile, tuttavia, accettare la nostra necessità. È più semplice fuggire nel regno di come preferiremmo le cose – noi compresi – piuttosto che abbracciare di buon grado la realtà delle cose per come sono realmente. Gli enormi progressi compiuti dalla nostra società nel settore della comunicazione sono paradossalmente serviti a esacerbare la tendenza vecchia quanto l'uomo di “indossare delle apparenze”, di scollegarsi dalla realtà apparentemente ordinaria e sgradevole di ciò che siamo per andare irresponsabilmente dietro a qualche ideale appena abbozzato che non ci richiede troppi rischi. Ora siamo più liberi che mai di mostrarci come vogliamo, a chi vogliamo, senza la disordinata immediatezza che va di pari passo con l'autentica interazione umana. In giro c'è molto “mostrare” e poco “rivelare”. La vera rivelazione richiede vulnerabilità, e la vulnerabilità richiede umiltà, che a sua volta significa basarsi sulla conoscenza di chi si è (e di chi non si è).

L'attuale zeitgeist di facciata e falsa associazione ha avuto profondi effetti sul nostro senso collettivo di spiritualità e di religione. Dare “effetti spirituali” alle nostre interazioni con gli altri (tenendoli allo stesso tempo accuratamente alla distanza di un braccio) ci fa sembrare buoni, il che ci fa stare bene. Mandare citazioni di Santa Faustina sul fatto di abbracciare la volontà del Signore può ingannare le persone (voi compresi) facendo pensare che non siete l'anima impaziente e affamata di affermazione che siete in realtà.

È più facile leggere una citazione ispiratrice sulla pazienza e l'arrendersi che mordersi la lingua e rendere grazie a Dio quando la nostra intelligenza viene insultata o la nostra agenda inizia improvvisamente a “sfilacciarsi”.

È più attraente dire che si pregherà per qualcuno alla fine di una conversazione che inginocchiarsi e farlo quando nessuno guarda o ne è a conoscenza.

È più bello e più romantico – e sicuramente più sicuro – scrivere lettere al futuro sposo sul proprio impegno risoluto alla castità (e poi postarle on-line) che amare davvero – ed essere ricambiati – un essere umano in carne ed ossa il cui cervello, corpo e anima sono molto diversi dai propri, e che presenta un altro universo che è sicuramente molto più bello e doloroso di quanto speravamo e sognavamo all'inizio. È più bello dire che ci si identifica con una spiritualità francescana o domenicana che affrontare e abbracciare costantemente il difficile compito di diventare ciò per cui Dio ci ha creati, con il suo continuo dinamismo e l'invito costante a levarsi al di sopra della mediocrità e dell'autosoddisfazione.

Anche quando si tratta di condividere le nostre sofferenze con amici fidati – e forse soprattutto in questo caso –, ci troviamo a dire frasi come “Dio mi sta davvero mettendo alla prova”, “Sono buono”, “Veramente benedetto”, “Il Signore mi sta mostrando ogni tipo di cose” piuttosto che essere franchi e schietti rispetto al fatto che siamo in conflitto con una persona cara o stiamo lottando con il perdono o non ce la facciamo finanziariamente, o ancora che lottiamo con l'angoscia mentale o il dolore fisico.

Vogliamo controllo, precisione e avere una bella immagine. È escluso che qualcuno sappia che abbiamo davvero bisogno di Dio, ed è escluso il fatto di trovarlo nell'abbraccio di un amico, o nella nuda solitudine della preghiera. Ci piacciono l'idea di Dio, l'idea dell'amore e quella della preghiera, ma la realtà di queste cose richiede una disponibilità ad essere rivelati per ciò che siamo, e la maggior parte di noi trova questo fatto un po' scoraggiante. Ancor più allarmante dell'idea dell'autorivelazione è quella della rivelazione di Dio, perché sappiamo che Dio ci si è rivelato nel modo più pieno nella crocifissione.

Dio ci si rivolge per come siamo realmente, non per come preferiamo presentarci. Parla al nostro cuore, non alla nostra facciata. E se vogliamo davvero vivere in base all'invito di Dio, dobbiamo essee pronti ad essere visti e abbracciati a quel livello e ad abbracciare gli altri nello stesso modo inesorabilmente onesto e realistico. Solo quando ci libereremo delle nostre personalità e spiritualità affettate Dio farà davvero presa su di noi e ci coinvolgeremo con Lui “nostro malgrado”, proprio in mezzo alla nostra fiera lotta contro il fatto di accettarci per come siamo, nel bene e nel male.

È fondamentale accettare la nostra debolezza – accettare il fatto che non siamo angeli, ma cornici fragili e polverose amate da un Dio che si rivela a noi nel miracoloso e nel mondano. Accettare la nostra fragilità (e la nostra amabilità!) ci apre all'accettazione dell'azione della grazia di Dio nella nostra vita.

Dobbiamo dire “sì” a quello che siamo e a chi Dio pone nella nostra vita, perché, come dice Jacques Philippe, “Dio è 'realistico'. La sua grazia non opera sulle nostre fantasie, sui nostri ideali o sui nostri sogni. Lavora sulla realtà, sugli elementi specifici e concreti della nostra vita. Anche se il tessuto della nostra vita quotidiana non ci sembra molto glorioso, solo lì possiamo essere toccati dalla grazia di Dio. La persona che Dio ama con la tenerezza di un Padre, la persona che vuole toccare e trasformare con il suo amore, non è quella che avremmo voluto o dovuto essere. È la persona che siamo. Dio non ama 'persone ideali' o 'esseri virtuali'. Ama persone reali. Non è interessato alle figure dei santi sulle vetrate colorate, ma a noi peccatori. Si può sprecare molto tempo nella vita spirituale lamentandoci per il fatto di non essere come questo o come quello, lagnandosi per questo difetto o per quella limitazione, immaginando tutto il bene che potremmo fare se anziché essere come siamo fossimo meno imperfetti, più dotati di questa o quella qualità o virtù e così via. Ecco uno spreco di tempo e di energia che impedisce l'opera dello Spirito Santo nei nostri cuori”.

Siate pazienti con voi stessi. Quello che siete è ciò che Dio ama. La realtà in cui è entrato è quella in cui vi trovate voi.

Alanna Boudreauè una cantautrice americana con un leggero accento canadese. Ama Josef Pieper, l'arte folk finlandese e dire alla gente che il suo nome di Battesimo fa rima con “banana”. Attualmente vive ad Ann Arbor (Michigan, Stati Uniti), dove lavora come terapista per le ferite traumatiche al cervello. Questo articolo è stato pubblicato in origine sul blog i.d.9:16.

Tags:
vita spirituale
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