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Perdonare non è dimenticare

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 13/01/15

Abbiamo bisogno di perdonare, ma dimenticare non è imprescindibile

Siamo terra sacra, ma spesso sperimentiamo la nostra incapacità di riconciliarci, di stare in pace con gli altri, con Dio, con noi stessi. Vogliamo un cuore da bambino, un cuore pulito, rinnovato, innamorato.

Bisogna chiedere perdono e perdonare, per stare in pace con Dio, per perdonare noi stessi per le nostre cadute.

Si dice che non c'è vero perdono se non si dimentica, che è impossibile perdonare davvero quando torniamo continuamente alla ferita e cresce il rancore, che solo se dimentichiamo l'offesa, ciò che è accaduto, possiamo ricominciare.

Sappiamo tutti, però, che ci sono ricordi incancellabili, esperienze che restano incise nel subconscio per sempre. La memoria custodita nel cuore ci fa rivivere tutto ciò che credevamo fosse già dimenticato.

Per questo è necessario distinguere tra perdono e oblio. Credo che spesso non possano andare di pari passo. Perdonare ci guarisce sempre. In realtà è l'unica cosa che guarisce il cuore. Perdonare ed essere perdonati.

Perdonare è una grazia di Dio, perché umanamente è molto difficile da raggiungere. Quante volte ci confessiamo incapaci di perdonare chi ci ha offeso! Quanto spesso ci rendiamo conto dell'esistenza di rancori sotterrati nell'anima che ci tolgono la pace e l'allegria!

Il perdono ci fa rialzare e intraprendere un nuovo cammino. Ci riconcilia con la vita, con il mondo, con noi stessi. Ci dà luce, rende il peso più leggero.

Il passare degli anni ci lascia ferite nell'anima. Ci sono offese non perdonate nel cuore. Dobbiamo chiedere la grazia del perdono. Vince di più colui che perdona che colui che è perdonato, perché perdonando ci vediamo più leggeri, più liberi. Il perdono guarisce. Perdonare è una grazia di Dio.

Ci sono sentimenti che spesso ci impediscono di perdonare. L'orgoglio, il fatto di pensare che abbiamo ragione, il considerarci più importanti di quello che siamo, l'ingrandire le dimensioni dell'offesa.

Sentiamo che se perdoniamo non stiamo dando valore a quanto è successo. Ci crediamo migliori di coloro che ci hanno offeso e perdonare ci fa mettere al loro stesso livello. Per questo vogliamo che chi ci ha offeso si umili, impari una lezione, cambi, non lo faccia più.

Il perdono è condizionato a un cambiamento di atteggiamento da parte di colui che viene perdonato. Perdoniamo se gli altri si umiliano. Perdoniamo se compensano il danno provocato. Perdoniamo se riconoscono la propria colpa e si fanno piccoli. Perdoniamo se si impegnano a non ricadere nello stesso errore.

Perdonare senza condizioni non è facile. Quando mettiamo condizioni al perdono può essere che non perdoniamo mai del tutto. Ci resta sempre uno spiraglio attraverso il quale passa il rancore. Una porta aperta all'amarezza, al rifiuto.

Il perdono è fondamentale per vivere in pace, per seminare allegria, per aprire finestre di luce. Il perdono degli altri e il perdono di noi stessi. Quali rancori portiamo nell'anima nella nostra storia personale? Cosa vogliamo perdonare? Che nome ha il nostro perdono? Vogliamo la pace del cuore che perdona.

Non penso che l'oblio sia tanto facile. Credo che non sia possibile quasi mai. Quelle ferite del cuore, i rancori che ci pesano, sono esperienze non dimenticate. Come dimenticare quello che ci ha segnati per sempre? È davvero molto complicato. Fa parte della nostra storia d'amore. È come dimenticare qualcosa che ci costituisce. È parte della nostra stessa identità.

Quando dimentichiamo, in genere è perché la ferita è stata superficiale e l'offesa non è stata tanto grande. Sono esperienze negative che sono rimaste perse nel passato e alle quali non abbiamo dato tanta importanza.

La memoria è il nostro bagaglio a mano, viaggia sempre con noi e ci serve per affrontare la vita, per imparare dal passato, per conoscere la nostra storia e ringraziare e offrire ciò che Dio ci ha donato. La memoria ci aiuta ad andare al di là dei pregiudizi costruiti dal dolore. Abbiamo bisogno di perdonare, ma dimenticare non è imprescindibile.

Ricordo delle ferite della mia vita. Alcune a volte sanguinano. Fanno parte del mio cammino. Ricordo il giorno, il momento. Le ricordo in modo nitido e soffro. Ho perdonato, ma continua a far male. Non dimentico ciò che è accaduto. Non è così necessario. E poi non lo controllo. Per quanto voglia formattare il disco fisso della memoria, non ci riesco.

Se non posso dimenticare, allora, ciò che posso fare è far sì che questi ricordi non determinino il mio modo di trattare chi mi ha offeso. Non posso incasellarlo nella sua mancanza e pensare che farà sempre lo stesso. Non posso condizionare il mio atteggiamento nei suoi confronti, il mio affetto o il mio rifiuto.

Non posso trattarlo con un certo disprezzo o una certa lontananza. Non posso diffidare sempre delle sue intenzioni e pensare che non cambierà mai. Non posso giudicarlo e allontanarmi dalla sua presenza. Non posso desiderare che soffra ciò che ho sofferto io. Devo costruire su quella roccia, sulla mia storia.

Non posso decidere che il ricordo scompaia, ma posso decidere come agire, come trattare colui che Dio mette nuovamente sul mio cammino, come confiderò in lui anche se una volta mi ha tradito. Non è facile, ma è il cammino della pace e dell'unità.

Diceva padre Josef Kentenich: “Ci sono punti che non cicatrizzano mai; ci sono punti nella mia vita in cui, anche se me ne ricordo vagamente, tutto si risveglia in me. E qui vorrei dire: bisogna togliersi questi punti! Dov'è il punto che non sono ancora riuscito a superare?”

Quante divisioni diventano profonde perché non sappiamo ricominciare! Quante volte l'unità non è possibile perché ci manca l'umiltà per perdonare! Ci manca il coraggio per trattare l'altro come se nulla fosse accaduto, senza ricordargli continuamente ciò che è successo, senza gettargli in faccia le sue miserie.

Ci sono punti della nostra storia che ci costano, ferite che non riusciamo ad accettare. Vogliamo offrire tutto a Maria.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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