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L’intelligenza artificiale è un pericolo per l’umanità?

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Eugene Gan - pubblicato il 15/12/14

Ecco perché noi cattolici non abbiamo nulla da temere

Qual è il senso della vita? Ecco alcune risposte date da Siri, l’assistente virtuale degli smartphones della Apple:

“Vita: principio o forza che soggiace alla qualità distintiva degli esseri animati. Penso che questo mi includa!”

“Non so, ma penso che esista qualche applicazione per questo”

“Tutte le prove finora suggeriscono che è il cioccolato”

Di recente Internet è andato in subbuglio per la notizia per cui il famoso fisico teorico Stephen Hawking teme che l’intelligenza artificiale (IA) possa rappresentare la sconfitta finale dell’umanità.

“Lo sviluppo della piena intelligenza artificiale potrebbe significare la fine della razza umana”, ha dichiarato alla BBC. Hawking, che soffre di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), ha rilasciato questo commento durante un’intervista in cui è stato interpellato sul nuovo sistema artificiale di comunicazione sviluppato per il suo uso dalla Intel e dalla SwiftKey. Pur se soddisfatto che il nuovo software usi l’IA per imparare i suoi modelli di espressione e suggerire parole che possa usare subito dopo, Hawking ha espresso serie preoccupazioni quanto al futuro dell’umanità di fronte a sistemi di IA che possono imparare, adattarsi ed evolvere da soli, raggiungendo livelli complessi di pensiero che ci supererebbero. “Gli esseri umani, limitati dall’evoluzione biologica lenta, non potrebbero competere con loro e verrebbero sostituiti”.

Hawking non è l’unico ad avere questa visione del nostro futuro. Anche il CEO della SpaceX e della Tesla Motors, Elon Musk, ha dichiarato che l’IA sfrenata è la “più grande minaccia esistenziale” che affronta l’umanità. E se i nostri media sono un riflesso delle speranza e dei timori della nostra cultura, allora non ci dobbiamo sorprendere del fatto che il pubblico in generale abbia timori simili. Alla fin fine, abbiamo già visto Google creare macchine che si guidano da sole, abbiamo già visto il Watson dell’IBM battere Ken Jennings a Jeopardy e il Deep Blue sconfiggere il campione di scacchi Garry Kasparov. E ricordiamo ancora le simulazioni come A.I., di Steven Spielberg (ricordate il robottino che voleva disperatamente essere amato dalla madre umana?), la serie Terminator (i droni di Amazon si trasformeranno un giorno in armi aeree assassine?) e Blade Runner, basato su “Il cacciatore di androidi” di Philip K. Dick. Il tema è simile: esseri umani minacciati dalla IA che non riescono a farvi fronte in modo adeguato.

Ma attenzione: Hawking e altri stanno facendo delle supposizioni fondamentalmente erronee sulla condizione umana. Tanto per cominciare, la parola “intelligenza”, nel modo in cui la usano loro, è definita in modo molto ristretto. Non tiene in considerazione il dono della grazia che illumina l’intelletto, né la realtà della nostra anima come soggetto della coscienza umana e della libertà (cfr. glossario Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica). L’anima non è “prodotta” dai genitori di un bambino: solo Dio può creare un’anima immateriale e immortale (cfr. Catechismo, n. 366). Definizioni fornite dai dizionari, come “capacità di imparare o comprendere le cose o di far fronte a situazioni nuove o difficili”, o da Google, come “capacità di acquisire e applicare conoscenze e abilità”, rappresentano un atteggiamento culturale in relazione all’intelligenza, ma non sottolineano l’importanza dell’esperienza, della memoria, della saggezza, dell’esercizio del libero arbitrio, della motivazione e perfino della concupiscenza, tra altre qualità, nella nostra acquisizione e applicazione di conoscenze e abilità.

Il Test di Turing merita una menzione speciale, visto che viene inevitabilmente alla ribalta in qualsiasi conversazione sulla IA, soprattutto perché Alan Turing, nel suo testo Computing Machinery and Intelligence, del 1950, ha affermato inequivocabilmente di non poter accettare l’idea di un Dio che crea un’anima immortale o la nozione per cui solo gli esseri umani hanno un’anima immortale. Nel Test di Turing, un giudice umano si siede in una sala e interroga due enti separati, situati in sale diverse: uno è un essere umano, l’altro una macchina dotata di IA. Sia la macchina che l’essere umano tentano di convincere il giudice di essere persone. Turing credeva che l’obiettivo della IA sia creare macchine che possano passare questo test, ovvero macchine dotate di IA che possano essere almeno a livello linguistico indistinguibili dagli umani. Questo test, tuttavia, è manchevole da vari punti di vista. Da un lato, non capta il pensiero sottoarticolato, i processi di pensiero dei quali non siamo neanche consapevoli. Il linguaggio può, da sé solo, captare le innumerevoli forme dell’intelligenza umana? E gli altri modi di intelligenza, come ad esempio dipingere un ritratto, calmare un bambino agitato, sopravvivere in condizioni selvagge, consigliare un amico, costruire una casa, aggiustare un rubinetto che perde, suonare uno strumento musicale, discutere il significato di un’opera d’arte e tutta una serie di altre capacità che non dipendono solo dal linguaggio? Il Test di Turing sembra concentrarsi più sulla comunicazione che sul significato dell’intelligenza umana.

Oltre a questo, se l’obiettivo della macchina dotata di IA è essere indistinguibile da un essere umano, dovrebbe commettere errori. Lo ha riconosciuto lo stesso Turing: “La macchina (programmata per giocare) non cercherebbe di dare le risposte giuste ai problemi aritmetici. Commetterebbe deliberatamente errori calcolati per confondere l’esaminatore”. I difensori del Test di Turing affermano che il segno dell’intelligenza artificiale non è dare risposte corrette, ma rispondere in modo da dimostrare la comprensione del contesto della conversazione. Quando incontriamo altri esseri umani che malgrado i nostri sforzi di comunicazione non riescono a comprenderci, non possiamo concludere automaticamente che non siano esseri umani intelligenti (anche se possiamo accusarli di stupidità). Stiamo realmente cercando di costruire la stupidità artificiale? Ricordatevene ogni volta che cercate di inviare un questionario in Internet e per impedire che i programmi di spam attacchino il sistema siete costretti a leggere e riscrivere quei caratteri distorti che appaiono sullo schermo. Che mondo simpatico creiamo per noi stessi: in un ribaltamento del Test di Turing, una macchina è incaricata di distinguere tra un essere umano e un’altra macchina!

Considerate altre due possibilità: (1) che i sistemi di IA si limitino a imitare l’intelligenza umana, e (2) che i sistemi di IA possano essere intelligenti, ma non in modo umano.

Nella prima possibilità, quella di imitare l’intelligenza umana, la macchina con IA dovrebbe acquisire non solo i nostri punti di forza, ma anche le nostre debolezze e i nostri errori, o, in altri termini, crediamo davvero che una forma di IA sempre logica, ben articolata ed esente da emozioni sia superiore a noi? L’atto di ingannare può ironicamente far parte del comportamento dell’IA se durante un Test di Turing inganna un esaminatore umano e lo fa pensare che anche lei è umana. Una forma di IA che mente, manipola, confonde, è fraintesa o si arrabbia e insulta non è superiore a noi, affatto! Una IA con le nostre debolezze e senza alcuna speranza e significato per la sua esistenza si distruggerebbe. Una macchina senza anima non andrebbe, né potrebbe farlo, a cercare il paradiso o un rapporto intimo con Dio. Ricordo il racconto “Tutti i problemi del mondo”, dello scrittore di fantascienza Isaac Asimov, in cui il computer senziente Multivac, che acquisisce tutta la conoscenza dell’umanità e diventa autocosciente, risponde bene alla fine: “Voglio morire”.

Quando alla seconda possibilità: saremmo capaci di riconoscere un’intelligenza non umana? Come inizieremmo a progettare un’intelligenza non umana per una macchina senza contare su esempi di questo tipo di intelligenza? Anche se ci riuscissimo, questa IA resterebbe così distante dalla nostra esperienza da essere incapace di mantenere interazioni significative con noi, e per questo sarebbe alla fine dei conti irrilevante? Non potremmo neanche considerare questa forma di IA come “non umana” o “senza emozione” se non ci fosse alcun punto di riferimento comune.

Qual è, allora, la motivazione per crearci una forma alternativa di intelligenza? È qualcosa di radicato nel fatto di condividere un po’ del potere creatore di Dio, come un artista che dipinge una visione della bellezza? È una forma di idolatria, visto che in sostanza stiamo cercando qualcosa o qualcuno che non sia Dio per far fronte alle nostre necessità? O la motivazione viene da un isolamento profondo al centro del nostro universo chiuso e dalla necessità di creare compagnia, anche se artificiale? Quando proviamo, invano, a lasciare Dio fuori, siamo noi a rimanere soli. I timori di Hawking sulle macchine dotate di IA sono sbagliati. Anche se un apparecchio con IA avesse tutte le virtù dell’umanità e nessuno dei suoi vizi, non è intuitivo che questa macchina cercherebbe di distruggere gli umani. Alla fin fine, non parteciperebbe all’egoismo, all’avidità e all’avarizia dell’umanità. È contraddittorio che esseri senzienti virtuosi e di retto giudizio cerchino la distruzione e la profanazione della vita. I nostri “timori” dovrebbero relazionarsi con gli esseri umani: dovremmo “temere” la loro crescita, formazione e salvezza, ma questo troverebbe difficilmente spazio nei media.

Mentre ci prepariamo in questo Avvento alla venuta di Cristo, pensiamo alla storia, al mistero e alla maestà. Ricordiamo Dio con noi nella nostra storia. Riflettiamo sul mistero di Dio che viene a noi nell’Eucaristia. E speriamo nella maestà di Dio. Anche se una forma di IA potesse registrare il passaggio di Gesù nella nostra storia, sarebbe capace di comprendere il mistero di Dio nell’Eucaristia, o di esprimere l’anelito speranzoso di essere avvolta dalla maestà divina per tutta l’eternità?

Non bisogna temere le macchine dotate di IA che possono sconfiggerci a livello di computazione o fisico. Ciò che ci rende speciali come esseri umani non è quanto siamo intelligenti o utili. Ciò che ci rende davvero speciali è l’amore di Dio per noi e la nostra capacità di rispondere a quell’amore. Un bambino nell’utero, prima di mostrare qualsiasi intelligenza o capacità di raziocinio, è speciale perché è amato, perché è una piccola anima creata a immagine e somiglianza di Dio. L’anima umana non può essere semplicemente paragonata all’intelligenza. L’anima è molto più di questo! Ilcogito ergo sum (“penso, quindi esisto”) di Cartesio non è il nostro grido, ma quello dei critici. Il nostro grido è molto più gratificante: “sono amato, quindi esisto!”. Dio ci ama al punto da portarci all’esistenza! Non possiamo dire lo stesso delle intelligenze artificiali che programmiamo.

Vi auguro di provare la pace e l’allegria nate dal desiderio di Amore Infinito, di quell’Amore Infinito che viene a noi sotto forma di un bambino umano questo Natale!

Eugene Gan è professore associato del Veritas Center e docente di Media Interattivi, Comunicazione e Belle Arti presso l’Università Francescana di Steubenville, negli Stati Uniti. Il suo libro Infinite Bandwidth: Encountering Christ in the Media si basa sulle Scritture e sui documenti del Magistero, ed è una guida pratica per comprendere i media e usarli nella vita quotidiana in modo significativo e sano.

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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