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Gregoriano: com’erano i cantorini nel Medioevo?

Dos cantorales de los Reyes Católicos – it

© BNE

exposicion de canto gregoriano en España

Alfa y Omega - pubblicato il 27/11/14

La Biblioteca Nazionale Spagnola accoglie una mostra fondamentale per ricordare la tradizione del canto gregoriano

La Biblioteca Nazionale Spagnola mette in mostra fino al 18 gennaio i suoi cantorini in un'esposizione in cui si potranno ammirare alcuni dei migliori esempi di musica liturgica esistenti in Spagna, così come il lavoro di datazione, catalogazione, conservazione e restauro di questi gioielli bibliografici.

Nell'epoca agitata del Medioevo, lo scriptorium dei monasteri divenne un centro nevralgico della diffusione della cultura. Tra l'umidità delle sue pareti, monaci coscienziosi confezionarono artigianalmente autentici tesori in forma di libri. Tra questi, spiccavano quelli destinati al canto collettivo dei frati stessi.

Nel VI secolo, il papa san Gregorio Magno cercò di unificare il rituale romano, e il canto gregoriano si diffuse in sostituzione di altri repertori. Anche se in Spagna iniziò ad affermarsi dall'XI secolo, i grandi libri dedicati al canto collettivo nacquero nel XV secolo, e la loro tecnica di elaborazione si è mantenuta fino al XIX.

La nuova liturgia sorta dal Concilio di Trento, a metà del XVI secolo, provocò una grande richiesta di cantorini. Impressiona ancora guardare questi enormi volumi, testimoni di tanti momenti unici della nostra storia, quando il canto gregoriano segnava il corso delle giornate nei monasteri e nelle cattedrali.

L'importanza di un tempio poteva misurarsi dalla ricchezza e dall'ornamentazione dei suoi libri corali, anche se, visto che in quell'epoca serviva molto denaro per ottenerli, la maggior parte era di uso quotidiano e aveva pochissimi ornamenti.

Solo nei monasteri e nelle cattedrali principali si potevano contemplare libri decorati con miniature. Di proporzioni fuori dal comune, i loro fogli dovevano essere di pergamena, di modo che per ogni pagina di un cantorino si impiegava la pelle di un animale, e per un libro intero bisognava sacrificare un gregge.

Alcuni dei cantorini esposti raggiungono i 90 centimetri di altezza e superano i 30 chili di peso, per cui non sorprende che in certi casi avessero bisogno di ruote e quasi sempre dovessero essere trasportati da due frati, ai quali era richiesto di avere le mani pulite, per essere messi al loro posto per la liturgia, su rialzi in mezzo al coro, per poter essere visti da lontano.

L'invenzione della stampa influenzò poco il confezionalmento dei grandi cantorini, visto che per le loro caratteristiche speciali continuarono ad essere manoscritti. Il problema è che quando persero la loro utilità molti vennero mutilati e trasformati in paralumi, o finirono per essere strappati dai loro supporti e messi in cartelle.

Cantorini dell'epoca dei Re Cattolici

La Biblioteca Nazionale Spagnola custodisce una delle collezioni di cantorini più importanti della Spagna, con circa un centinaio di volumi, provenienti per la maggior parte da monasteri e conventi alienati da Álvarez de Mendizábal nel 1836 o da Ruiz Zorrilla nel gennaio 1869.

Altri pezzi provengono da donazioni private, o da conventi e chiese scomparsi durante la Guerra Civile spagnola. Molti hanno subito una complicata opera di restauro perché erano molto deteriorati.

Tra tutti, spiccano i due più antichi: furono commissionati dai Re Cattolici per celebrare la nascita dello sfortunato principe Juan, e la loro destinazione fu il monastero di San Juan de los Reyes, a Toledo, un convento francescano fondato nel 1477 dagli stessi Re Cattolici. Con certezza quasi assoluta possono essere fatti risalire a prima della presa di Granada nel 1492, visto che negli scudi non appaiono i caratteristici melograni successivi.

Una delle novità più importanti dell'esposizione è stata la scoperta di una nuova fonte castigliana, dell'inizio del XVI secolo, per il Canto della Sibilla, tradizione culturale cristiana che consisteva nel fatto che, prima della Messa di mezzanotte, un bambino travestito da donna (rappresentazione della Sibilla eritrea, un personaggio della mitologia classica che prediceva la fine del mondo) intonava in gregoriano una serie di strofe sul Giudizio Universale.

Il manoscritto è apparso come quaderno sciolto all'interno di un cantorino, e non si tratta delle versioni già note della Sibilla latina, maiorchina, catalana o valenciana, ma di un'altra finora sconosciuta, in castigliano, con un'annotazione musicale di un canto molto simile a quello interpretato nella cattedrale di Toledo nel XV e nel XVI secolo.

L'esposizione, alla quale ha collaborato l'università di Alcalá de Henares, mostra anche un buon numero di fonti medievali di musica ecclesiastica, precedenti agli stessi cantorini, e si completa con i manuali utilizzati dai cantori per imparare.

Nel contesto della mostra, la Biblioteca Nazionale accoglie anche altre attività, come un concerto di canto gregoriano da parte della Schola Antiqua.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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