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Tre atteggiamenti che aiutano a educare i bambini alla sincerità

A child with hand in front of mouth

© Sylvie Bouchard/SHUTTERSTOCK

Revista Ser Persona - pubblicato il 13/11/14

Quando fanno qualcosa di sbagliato è meglio convidere i sentimenti, descrivere la situazione e aiutarli a risolverla

Toñito gioca con la sua palla nel salone di casa pur sapendo che la mamma gliel'ha proibito. All'improvviso la palla va contro uno specchio il cui vetro si rompe fragorosamente. Allertata dal rumore arriva la mamma, e si rivolge a Toñito.

“Che succede?”, chiede la mamma.

“Niente!”, risponde Toñito.

“Ma… lo specchio è rotto! Chi è stato?”, insiste la mamma.

“È caduto e si è rotto!”, replica Toñito.

Per il bambino, nella sua immaginazione, esiste la possibilità che il vetro di uno specchio si frantumi da sé e presuppone di poterlo spiegare così, ma ignora che lo tradisce più la palla tra le sue mani che i vetri a terra. Ha già la capacità di mentire, ma gli manca l'esperienza del male, che gli darà la capacità di coprire ciò che è falso con un'apparenza di verità.

È una capacità che, acquisita a poco a poco, gli impedirà di vivere con la semplicità e la trasparenza che esistono nella vita dell'uomo onesto.

E nascerà l'uomo scaltro, quello che come dice una canzone “gioca sempre a non perdere e perde tutto vincendo”, perché non percorrendo la via della verità e della prudenza sviluppa una tale abilità a mentire che finisce per ingannare se stesso, smettendo di provare il vero rispetto e il vero amore per il prossimo; inganna se stesso, inganna gli altri e pretende di rendere possibile l'impossibile… ingannare Dio. Smette di riconoscere gli altri e se stesso come persone.

È vero che impariamo a mentire da piccoli, quasi per intuito, ma nel processo della crescita e della maturazione nel gioco corretto della nostra libertà dobbiamo e possiamo vincere questa inclinazione, accettando che è intimamente collegata ai nostri difetti, che dobbiamo affrontare e superare perché non si adattano alla nostra dignità di persone, e in questo modo spianare la via che conduce all'autenticità e alla sincerità.

Costa? Come no, e in più di un'occasione! Ma il costo è minimo se paragonato al valore che ha la verità tra gli uomini.

Seguiamo però il dialogo tra mamma e figlio:

“Toñito, sei stato tu!”, insiste la mamma.

“No, è stata la palla!”, replica il bambino.

Toñito cerca di discolparsi, ma ignora che la palla non ha gli attributi dell'intelligenza e della volontà con cui è nato lui, che non è un essere libero e quindi non può essere responsabile dell'accaduto.

Aiutato dalla comprensione e dall'affetto dei suoi genitori, Toñito dovrà imparare a dire sempre la verità e ad essere tutto d'un pezzo, che la cosa negativa non è commettere errori o vergognarsi, ma non correggersi tacendo le cose.

Riflettiamo: cosa dovrebbe farci vergognare di più, fare qualcosa di sbagliato o doverlo dire? La prima cosa, perché la seconda implica una chiara rivendicazione del valore della persona. Se è così, allora dobbiamo insegnare ai nostri figli a esprimere i propri errori e a lasciarsi aiutare, come quando si ammalano e chiedono il nostro aiuto con tanta fiducia.

È molto comune che i genitori, di fronte a qualche azione sgradevole o scorretta da parte dei figli, chiedano in modo minaccioso “Chi è stato?” per verificare chi ha rotto il vetro, chi ha sparso la marmellata sul pavimento o chi ha rovinato le pareti; per trovare il nome del colpevole.

Questa domanda non aiuta a risolvere il problema, visto che usandola i genitori comunicano che è urgente trovare i colpevoli e punire, facendo vedere che il castigo importa di più della soluzione del problema e del fatto di approfittare della situazione per insegnare a vivere la virtù della sincerità attraverso ciò che sta accadendo. La domanda “Chi è stato?” non dà ai figli informazioni sui sentimenti e sulle buone intenzioni dei genitori; allo stesso modo, non dice nulla di positivo circa il comportamento che ci si aspetta da loro in futuro; si perde l'opportunità di usare la situazione come circostanza per insegnare, trasformandola invece nel preludio del castigo.

Non aiuta nemmeno la variazione della frase in “Di chi è la colpa?”. In genere, se i figli sono piccoli si daranno la colpa l'uno all'altro, e se sono più grandi cercheranno di giustificarsi o di mettersi sulla difensiva, mentendo e scatenando situazioni di conflitto.

Un atteggiamento migliore da parte dei genitori sarebbe descrivere la situazione ed esprimere i propri sentimenti al riguardo: “Vedo lo specchio rotto e sono molto dispiaciuta”.

Ugualmente utile è dare loro più informazioni di modo che vedano l'errore e capiscano perché non si deve fare: “La palla rimbalza molto, ed è per questo che non si deve usare in casa, ma solo in giardino”.

Bisogna poi suggerire la soluzione al problema provocato, cercando allo stesso tempo la sincerità e l'accettazione della responsabilità, per lasciarsi aiutare: “Chi è stato deve aiutarmi a raccogliere, i vetri rotti sono pericolosi”.

Toñito annuisce con la testa e aiuta a raccogliere. Con il suo atteggiamento sta vivendo la sincerità, rendendosi responsabile. Alla fine riceve un bacio e impara, nella ricompensa amorevole, il valore della verità.

Quando i genitori condividono i propri sentimenti, descrivono la situazione e danno informazioni su come collaborare a risolverle, stanno comunicando in modo corretto il messaggio per cui credono che i loro figli siano sufficientemente intelligenti da rendersi conto di aver fatto qualcosa di sbagliato, perché non deve succedere di nuovo e che è importante risolvere la situazione essendo sinceri e responsabili. Con questo, si danno loro lezioni utili e preziose.

La prossima volta che vi scoprirete a dire retoricamente “Chi è stato?”, fermatevi un momento e mettete in discussione le vostre motivazioni.

Cos'è più importante, trovare il colpevole e punire o concentrarsi su ciò che bisogna fare e cogliere l'opportunità di formare nella sincerità?

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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