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Consigli a papa Francesco per la riforma della Chiesa

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Soren Hugger Moller

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Roberta Sciamplicotti - Aleteia - pubblicato il 08/10/14

Libro-lettera aperta di don Vinicio Albanesi al pontefice

“Carissimo Padre, la riforma possibile è epocale: presuppone, oltre che prudenza e saggezza, una grande fede nello Spirito”. È una delle frasi che scrive don Vinicio Albanesi nel suo libro “Il sogno di una Chiesa diversa. Un canonista di periferia scrive al papa” (Ancora), una lettera aperta a papa Francesco per proporre degli spunti che possano essere di aiuto a “riformulare nuove regole, nuovi organismi e nuovi modi di 'vivere' la Chiesa”.

Don Vinicio è noto ai più come esponente di quella generazione di “preti di strada” che hanno scelto di misurarsi con la realtà dell'emarginazione sociale. Pochi sanno che è laureato in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana e che per molti anni, in quanto canonista, è stato membro e anche presidente del Tribunale Ecclesiastico Regionale Piceno. Sulla base della sensibilità di profondo conoscitore delle “periferie” esistenziali che papa Francesco vorrebbe mettere al centro dell'azione della Chiesa e della sua formazione accademica e professionale, l'Albanesi “canonista di periferia” si rivolge nel testo direttamente al papa per suggerire alcuni punti essenziali di riforma dell'istituzione ecclesiastica affrontando il tema da un punto di vista giuridico ma con lo sguardo attento anche alla visione generale della missione della Chiesa.

“Già dai primi mesi di pontificato Lei si è reso conto della necessità di proporre vie di rinnovamento, indicando prospettive pastorali, insieme a riforme degli organismi ecclesiali”, scrive don Vinicio al pontefice. Ecco quindi dei suggerimenti che il sacerdote vuole offrire al vescovo di Roma: “nulla di irriverente, ma un contributo aperto e sincero, senza la paura di obiezioni che sorgono spesso da attenzioni a carriere accademiche o ecclesiastiche, legate a 'volontà divine' inventate, frutto della storia umana piuttosto che dell’ispirazione divina”.

Ogni riforma, riconosce don Vinicio, “è problematica, lenta e mai perfetta. Ma è giunto il tempo di dare continuità al Concilio Vaticano II anche per l’organizzazione ecclesiastica”. “I cristiani sono cambiati: occorre ascoltarli e lasciarsi guidare dal senso della fede che loro vivono”.

Per questo, con il suo libro vuole tentare di “riflettere a voce alta su un possibile nuovo assetto degli organismi di governo della Chiesa universale e particolare. Un nuovo assetto perché quello esistente, oltre a far emergere seri limiti, rischia di rimanere invischiato in ritardi ingiustificati rispetto alle urgenze pastorali”.

Le ragioni che hanno spinto don Vinicio a riflettere sulla riforma dell’organizzazione della Chiesa possono essere riassunte nel “distacco tra 'l’apparato ecclesiastico' e la fede reale delle persone. Un apparato che rimane lontano, estraneo, diffidente se non oppositivo a quanto le anime, semplici e raffinate, vivono quotidianamente”.

È invece “indispensabile che nella gestione della Chiesa siano coinvolte tutte le componenti del popolo di Dio. Il capitolo II della Lumen gentium antepone il sacerdozio comune dei fedeli al sacerdozio gerarchico. Nella sostanza ciò vuol dire tutti i cristiani sono partecipi della vita della Chiesa e, invocando il tema della comunione molto caro al Concilio, non si può disattenderlo in nome di una 'gestione' che lascia loro il solo compito 'consultivo' (quando avviene)”.

Per don Vinicio, “c’è una discrepanza che va saldata. La Chiesa è di tutti, la Chiesa è costruita sulla santità di ognuno, accompagnata dalla testimonianza e dalla fedeltà al Signore. Ciascuno ha la sua funzione, senza esagerare su alcune a discapito di altre”.

A suo avviso, il processo della riforma “è prevedibile che sia lungo e complesso”, ma è “diventato inevitabile”, perché “è insufficiente aggiustare pezzi degli organismi ecclesiali senza toccare lo schema di base dell’organizzazione”.

Quali devono essere gli obiettivi della riforma secondo don Vinicio? In primo luogo bisogna “mettere al centro lo spirito sinodale”, “la partecipazione corale di 'tutta' la Chiesa (almeno nella rappresentanza) per tener presenti sempre e comunque visioni, istanze, proposte che nascono dalla sensibilità complessiva dei componenti la Chiesa universale. Non è in discussione l’autorità, ma 'i modi' con i quali questa autorità viene espressa”. Occorre poi mettere a fuoco il senso del “ministero petrino” e ridefinire i ruoli dei cardinali e dei vescovi, così come ridimensionare radicalmente il ruolo della Curia romana e “sfoltire le figure non essenziali”, non tralasciando di “valorizzare il contributo ecumenico”.

Per la riforma necessaria al giorno d'oggi, per il sacerdote sono evidenti due priorità: “la prima è dare contenuti a termini molto sentiti e ritenuti giusti”, come il concetto di comunione, “la seconda è il radicamento nel territorio in cui i fedeli vivono”, da cui “l’insistenza per un rapporto stretto tra clero, religiosi/e e battezzati”.

“Lei si faccia guida illuminata e sicura; ma incominci, affidando alla Provvidenza l’opera di rinnovamento”, scrive don Vinicio a papa Francesco. “Non abbia timore di resistenze e obiezioni. Le posso assicurare che una riforma è desiderata dai fedeli laici, dai presbiteri, dai vescovi”.

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