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La carità? Molto più che elemosina

The Missionaries of Charity have helped the poor in India for decades – it

© DIBYANGSHU SARKAR / AFP

padre Carlos Padilla - Aleteia - pubblicato il 11/09/14

È un amore che si abbassa, che scende e viene ad abbracciarci, l'amore divino che si incarna

Qualche tempo fa, un sacerdote mi parlava di alcuni fidanzati che, preparando le loro nozze, non hanno voluto scegliere la lettura in cui San Paolo parla della carità. Volevano parlare dell’amore e non della carità.

Forse identificavano la carità solo con l’aiuto ai bisognosi, con la solidarietà e l’aiuto a chi non ha. La carità, però, è molto più che aiutare a livello economico chi ne ha bisogno. Dio è carità. Dio è l’amore che discende sull’uomo.

L’eros, l’amore erotico, ascende, conquista, desidera raggiungere ciò che non possiede. La carità, invece, è l’amore di Dio che si riversa su di noi che ne abbiamo tanto bisogno. È un amore che si abbassa, che scende e viene ad abbracciarci. Ci cerca quando ci allontaniamo e ci porta a riposare sul suo petto.

Dice un poema di Luis de Góngora: «Pecora, perduta, vieni / sulle mie spalle, che oggi / non sono solo il tuo pastore / ma anche il tuo pasto. / Per scoprirti meglio / quando belavi perduta / ho lasciato in un albero la vita / dove mi ha invaso l’amore. / Se vuoi un pegno maggiore / le mie opere oggi te lo danno / Pasto oggi fatto tuo, / quale darà maggior meraviglia, / il fatto che io ti porti sulle spalle / o che tu mi porti sul petto? / Sono pegno di amore stretto che anche / i più ciechi riescono a vedere».

È l’amore divino che si incarna e ci viene incontro. Il buon Pastore ci porta sulle sue spalle, come la pecora perduta. Il buon Pastore si abbassa per vivere nel nostro petto.

Gesù è venuto a vivere tra gli uomini e ci ha insegnato la carezza dell’amore di Dio. È venuto a condividere la nostra vita, i nostri sogni. Ha percepito, toccandola, la profondità della nostra anima. Si è commosso davanti al nostro dolore. Ha abbracciato la nostra impotenza. Ha sentito le nostre lacrime e si è rallegrato con le nostre risate.

Si è fatto amore incarnato accarezzando la nostra carne. Si è lasciato portare sulla croce e lì il suo amore si è fatto sangue, acqua, fonte di vita. Si è spezzato e non siamo riusciti a curarlo, né a salvarlo. La sua morte ci ha dato la vita. Paradosso. La sua carità si è effusa sul mondo e il mondo non la riconosceva. Ed è voluto restare in quel pane spezzato che ci parla di un amore immenso.

Cristo è la carità che gli uomini hanno potuto un giorno toccare sulla via. È la carità che riceviamo nel pane e nel vino perché Egli possa continuare a toccarci. È l’amore che tocca, che si dona, che abbraccia, che muore. Cristo è carità, e i suoi sentimenti hanno a che vedere con la donazione di quell’amore.

Guardiamo il cuore di Cristo, il cuore immacolato di Maria. Guardiamo i loro cuori uniti in uno stesso sangue. In quei cuori regnano i sentimenti propri di Dio.

Lì ci sono misericordia, generosità, umiltà, mansuetudine, diligenza, semplicità, forza, allegria, pace, pazienza. Sono tutti quei sentimenti a cui aneliamo e che non possediamo.

Ci dice padre José Kentenich: «Rivestiamoci di Cristo non solo per ciò che riguarda il nostro essere, ma anche il nostro sentire. San Paolo ci invita ad avere gli stessi sentimenti di Cristo (Fil 2,5), perché dal cuore sbocciano tutte le cose»[3].

Guardiamo ai santi. Essi riflettono quell’amore nel loro modo di vivere e di amare, e ci piacerebbe assomigliare a loro.

L’amore di Cristo è carità che resta nel pane e si rende visibile in coloro che mangiano lo stesso pane. La sua carità è donazione costante. È un amore che si spezza e si dona. Un amore che innalza, che non ha invidia, non si vanta, non si lamenta, costruisce, non critica, non giudica, abbraccia e accoglie.

È un amore che nobilita e rispetta, attende paziente e ama in silenzio. È un amore che conosce la rinuncia e il sacrificio. Che aspetta pazientemente, che guarda con purezza.

È un amore che sa vedere il buono di tutto e rispetta i tempi di Dio.

È un cuore che sa ascoltare i sussurri di Dio e portarli alla vita. Un amore che non si allontana da chi soffre, ma soffre con lui e lo accompagna.

È un amore che non smette di crescere, perché il cuore diventa più grande quando ama di più.

Gesù non va via. Ci conosce. Sa che abbiamo bisogno di vedere e toccare. Che non vogliamo aspettare l’altra vita per stare con Lui. Resta perché possiamo stare al suo fianco. Mantiene la sua promessa di stare tutti i giorni con noi, fino alla fine del mondo.

Il Dio che si è fatto uomo per stare vicino a me, che è morto per me per un amore smisurato su una croce, resta accanto a me, viene da me.

Dio si incarna, muore, si spezza, resta, viene da noi. Ci inginocchiamo davanti a Dio e lo adoriamo con il nostro piccolo cuore. L’amore più grande nascosto nella cosa più piccola, nel pane, e ancor di più, nascosto nel mio cuore quando mi comunico. In quel momento, il mio cuore è Betlemme, povero, semplice, piccolo. E per Gesù, è il luogo migliore.

Ogni giorno, nell’Eucaristia, Gesù si mette davanti a noi. È il miracolo più grande. E a volte ne cerchiamo altri. Nascosto, semplice, per mano di un sacerdote, invisibile agli occhi umani, aperto solo agli occhi della fede, come la cosa più grande della vita.

Gesù si mette nuovamente davanti a me nell’ultima cena. Nel pane e nel vino. Il suo corpo e il suo sangue. Di nuovo, si ripete il suo amore di quella notte, il suo amore immenso.

Ascoltiamo, diciamo, le stesse parole. Siamo Cristo. Riceviamo Cristo. Lo dice a ciascuno di noi: «Quanto ho desiderato mangiare questa Pasqua con voi! Sono davanti a te. Tu non c’eri quella notte. Ora ci siamo tu e Io».

Di nuovo il suo amore smisurato, l’amore fino all’estremo. Il Dio che cammina con me, che appare nella mia vita e irrompe. Colui che mi accompagna nel corso della mia giornata, mi invita a mangiare con Lui. Quel pane che è Gesù si spezza davanti a noi.

Ogni giorno, nello spazio di qualche minuto si ripete il mistero di Gesù. E questa volta ci sono io con Lui. In ogni Eucaristia si ripete la notte del Giovedì Santo, il Getsemani nella donazione al Padre quando l’offerta si eleva al cielo, il Venerdì Santo sulla croce quando il pane si spezza, l’attesa di Maria il sabato nel silenzio della nostra preghiera, la Resurrezione della domenica quando lo ricevo nel mio cuore.

Si ripete sempre, è sempre nuovo, unico, santo. Siamo salvati di nuovo, amati come se fosse la prima volta. È stata l’ultima cena, è la nostra cena quotidiana.

La croce su cui si spezza per me, quel freddo legno, si riveste di vita. Il suo sangue viene versato per me.

Dio si dona del tutto, non si risparmia come facciamo noi. No, perde tutto perché non può negare se stesso. È amore. In quel pane spezzato c’è la ferita del suo costato aperto.

Le sue mani trafitte sono il pane spezzato che ricevo. I suoi piedi stanchi sono la pace che mi dà la sua presenza. Gesù apre le braccia sulla croce per accogliermi. E come ha amato il buon ladrone, ama me e mi promette la vita al suo fianco.

Come sacerdote sono Cristo che solleva Cristo spezzato, e io stesso sono Cristo spezzato. Sollevo nelle mie mani, che sono le sue mani, il suo corpo che è pane di vita.

Mi inginocchio con Maria ai piedi della sua croce, commosso, ferito. Lei mi sostiene come ha sostenuto Giovanni, mi abbraccia, mi accompagna, mi solleva. Io mi commuovo.

E chiedo di non smettere mai di commu
overmi quando guardo Lui, lasciandomi guardare da Lui. Allora le sue parole d’amore, di perdono, di abbraccio, sono le mie stesse parole.

Mi sorprendo. Le pronuncio io, me le dice Lui. Mi aspetta e lo aspetto. È Lui, sono io. Mi aspetta da sempre. Lo fa nuovamente in ogni Eucaristia. Anch’io lo aspetto.

Dio torna a camminare al mio fianco, a incarnarsi e a farsi a mia misura, torna a spezzarsi sulla croce, tra le mie mani. Io sostengo senza parole il pane finito, il suo Corpo infinito. Egli spezzato, io spezzato. Egli vivo e io vivo, perché torna a risuscitare tra le mie mani.

Non arrivo a comprenderlo. E taccio perché viene nel mio cuore. Lì posso adorarlo. Lo guardo, mi guarda. Aspetto, mi aspetta. E la Sua presenza guarisce le mie ferite.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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