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Don Minzoni, il martire per la libertà di educare ucciso dai fascisti

Il martire per la libertà di educare ucciso dai fascisti

@DR

Vinonuovo.it - pubblicato il 27/08/13

A 90 anni di distanza una ferita storica mai sanata: la collusione di alcuni esponenti delle gerarchie ecclesiastiche con il nascente fascismo

di Maria Teresa Pontara Pederiva

Quando si dice la memoria. Sì, non mi è proprio venuto in mente che il 23 agosto era il 90° anniversario dell'assassinio di don Giovanni Minzoni. Non sono uno storico, non affronto la storia di mestiere. Eppure avrei dovuto ricordarlo, e mi dispiace sinceramente di non averlo fatto. Perché di don Minzoni ne ho sentito parlare fin da piccola. Perché la mia nonna emiliana in quegli anni era maestra proprio ad Argenta e con don Giovanni aveva lavorato, e condiviso tante vicende.

I ricordi sbiadiscono, è vero, la nonna è morta ancora nel 1975, tuttavia non riesco proprio a capacitami di come sia stato rievocato in questi giorni.

Solo un breve flash sulla figura di questo prete che il sito "Santi e beati" non esita a chiamare "sacerdote e martire": nato a Ravenna nel 1885, una volta prete è destinato alla parrocchia di Argenta (diocesi di Ravenna, ma provincia di Ferrara), da cui si allontana per gli studi a Bergamo prima e come cappellano militare durante la Grande Guerra poi (fu anche medaglia d'argento). Terminato il conflitto ritorna alla sua sede, dove non accetterà mai di piegarsi alle pressioni del fascismo in ascesa, anima diverse attività che danno fastidio in alto fino alla sera del 23 agosto 1923 quando, rientrando in canonica, viene assassinato a colpi di bastone da una delle tante squadracce dalle camicie nere. Mandante riconosciuto Italo Balbo, nativo della campagna ferrarese e poi gerarca.

La storia che ho ascoltato fin da piccola – quando al cimitero mi incuteva timore quel monumento a Balbo con tanto di aeroplano… – parlava solo di buoni e cattivi, quasi come nelle fiabe, ma la serietà della nonna mi aveva subito fatto intendere che non lo era affatto. Sentivo raccontare di un prete – un arciprete – pieno di fede e di coraggio, uno che aiutava la povera gente allora in quelle terre praticamente solo contadina, uno che si era indignato per l'assassinio del sindaco (socialista), uno che "voleva bene ai bambini", a quei bambini cui la nonna faceva scuola al mattino e che al pomeriggio si riunivano all'oratorio con don Giovanni che per loro aveva pure aperto una sezione scout (ma che qualcun altro voleva esclusivamente balilla).

Lei, impegnata già allora nel gruppo donne di quella che diventerà l'Azione cattolica, interessata da sempre alla politica – la genetica non si può eludere – discuteva con lui e le sue colleghe delle vicende di don Sturzo, allora in difficoltà evidente e soprattutto di quella democrazia che stava per affondare definitivamente in un Paese che avrebbe invece dovuto risollevarsi dalla Guerra.

"Il suo stare con il popolo includeva il rigetto di ogni intolleranza", ha scritto Domenico Rosati il giorno dell'anniversario su un quotidiano laico. Una sintesi che la nonna avrebbe condiviso perché la ricordo indignata – allora ero alunna delle medie – per gli assassini di Bob Kennedy e Martin Luther King. "Il razzismo è una brutta pianta difficile da sradicare anche da noi, mi aveva detto, un po' come il fascismo e in Italia sotto sotto cova ancora un'anima". Era il 1968 e in centro città c'erano i cortei di Sociologia… allora non capivo … Ma la nonna parlava di tolleranza necessaria, di dialogo: "In politica uno può pensarla diversamente, ma non puoi mettergli il bavaglio, mandarlo in carcere, assassinarlo o anche solo considerarlo un avversario come in tempo di guerra". Era una buona sintesi da maestra ormai in pensione (dopo oltre 45 anni di servizio).

Quello che mi lascia allora sconcertata è perché da parte cattolica non si possa scrivere, almeno oggi, con chiarezza che le gerarchie ecclesiastiche l'avevano lasciato solo, perché – forse un esame di coscienza sarebbe il minimo – la collusione col fascismo era ormai pressoché totale. Perché un prete come don Giovanni dava solo fastidio: il classico ribelle che "se l'era cercata"? La nonna mi raccontava come si fosse lamentata per come era stato celebrato il funerale: lei, nipote dell'ultimo cardinale di Ferrara, non aveva timore a rivolgersi al clero. Ma non ebbe risposte convincenti.

Mi chiedo cosa ci voglia oggi a riconoscere – certo "storicamente" – gli errori di un cattolicesimo che è andato a braccetto ai regimi peggiori del Novecento o vogliamo sempre e solo "tacere e sopire"? Forse per ricascarci di nuovo?

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