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Jesus Christ Superstar: 40 anni fa il film

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Simone Sereni - pubblicato il 16/07/13

Un’opera amata e controversa, divenuta un classico a furor di critica e pubblico. Una miscela di rock e Vangelo che non perde di potenza comunicativa

“Adesso ho le idee più chiare: finalmente posso vedere, e anche troppo bene, come andrà a finire per tutti. Se strappi via il mito dall’uomo vedrai dove finiremo presto. Gesù! Hai cominciato a credere alle cose che dicono di te. Tu credi veramente che questi discorsi di Dio siano veri. E tutto il bene che hai fatto sarà presto spazzato via. Tu hai cominciato a essere più importante delle cose che dici”. 
La potenza e il senso ultimo di Jesus Christ Superstar è condensato già nel primo verso della prima canzone (Heaven on their minds) di una delle opere rock più amate e discusse. È Giuda che parla, libera la sua rabbia e urla il nome, quel nome: “Jesus!”. È un’invocazione umana, molto umana, non molto lontana da certi Salmi, un modo di rivolgersi faccia a faccia a un Dio deludente, che finalmente ha un volto e una parola ma che non sono quelli attesi.


Sono passati 40 anni dall’uscita nella versione cinematografica dell’opera musicale degli inglesi Andrew Lloyd Webber (musiche) e Tim Rice (testi) che racconta la Settimana Santa, gli ultimi sette giorni della vita di Gesù, proprio dal punto di vista di Giuda, l’amico che lo tradì. 
Il disco originale, pressoché ignorato in Inghilterra, divenne presto numero uno negli Usa e il più venduto nel 1971, e da lì inizio la sua fortuna: prima a Broadway nella sua prima versione teatrale e poi il successo mondiale con la versione cinematografica che successivamente ispirò decine di versioni musical. E ancora oggi conta repliche su repliche.

Una sacra rappresentazione moderna e laica, amata e contestata” (soprattutto da cristiani ed ebrei) come ha scritto Angela Calvini su Avvenire (11 luglio). Una versione hippie e abilmente attualizzata delle vicende che però “poneva un confronto reale su una storia precisa, tratta passo passo dal Vangelo”, quello di Giovanni in particolare, e che scava “nell’animo di un Gesù uomo, confuso e a volte spaventato dalla sua missione”. Una miscela incendiaria se Ernesto Assante su Repubblica (1 luglio) ricorda addirittura che “al tempo del suo primo arrivo nelle sale cinematografiche, anche in Italia davanti a molti cinema ci furono proteste e incidenti”. Per un’opera che poi in quarant’anni è diventata un classico, anche in tante parrocchie.



Guido Mocellin su Vinonuovo.it (12 luglio) ha scritto che Jesus Christ Superstar “rimane, prezioso, nello scrigno del mio personale neocatecumenato”. Come confermato anche da qualche commento sullo stesso blog, l’opera pur così discussa soprattutto dopo i fuochi di contestazione del 1968, non solo fu per alcuni non credenti la sola finestra accettabile – e non per questo meno provocatoria – sul Vangelo, ma fu un appiglio anche per alcuni credenti: “Non mi vergogno a dire che la «tenuta», non dirò della mia fede, ma del mio legame con Cristo e con il Vangelo, nella delicata e ipercritica fase adolescenziale…è passata anche, e non poco, per quei testi”; un “primo approccio pop e finanche hippy con la questione del Gesù storico di cui né al catechismo né all’ora di religione mi avevano mai parlato”.

Tante le versioni italiane dell’opera, da quelle più artigianali alle grandi produzioni. La più nota, che ormai ha compiuto quasi 20 anni, è quella del neodirettore artistico del Teatro Sistina in Roma, Massimo Romeo Piparo che l’ha per l’appunto messa nel nuovo calendario con un bel debutto il giorno di Venerdì Santo, il 18 Aprile 2014. Intervistato da RadioVaticana (14 luglio), Piparo dice che si tratta di un’opera “cui è legata la mia vita”, forse anche un po’ troppo, tanto che “Io dico sempre: basta! Dopo venti anni, devo mettere da parte Jesus Christ!”. E invece poi “c’è qualche anniversario, ricorrenza o evento che me lo fa tirar fuori e che mi fa scoprire come il pubblico, la gente, lo gradisca sempre e comunque”. La forza del Vangelo e la trasversalità del rock sono “l’alchimia che fa di questo spettacolo un intramontabile”.

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