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La bellezza come valore “non negoziabile”

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Rodolfo Papa - pubblicato il 22/05/13

Senza una corretta arte è difficile veicolare i giusti valori

Come è stato più volte ripetuto anche all’interno dell’ultimo Sinodo dei Vescovi, l’arte è uno strumento efficace per la nuova evangelizzazione, così come è sempre stata un mezzo di trasmissione ed educazione alle Fede nel corso dei secoli. La riflessione sulla fisionomia dell’arte sacra, per la quale i documenti del Vaticano II offrono risposte profonde, impone anche la considerazione di una questione connessa, che forse è la più urgente da affrontare, ovvero la questione della formazione del clero, del popolo, degli addetti ai lavori e degli stessi artisti. Si tratta di una questione in definitiva didattica.

Il Concilio Vaticano II, e in modo particolare la Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, prescrive che ci siano insegnamenti di storia dell’arte, filosofia dell’arte, teologia dell’arte e arte cristiana nei Seminari minori e maggiori, e nelle Facoltà di Filosofia e nelle Facoltà di Teologia. Inoltre, nei documenti conciliari si parla costantemente di formazione non solo del clero, ma anche dei laici, i quali possono studiare sia negli Atenei Pontifici, sia negli Istituti di Scienze Religiose delle varie Diocesi. Occorre riconoscere, che a cinquanta anni dal Concilio, questo aspetto risulta ancora abbastanza disatteso. Rimane ancora tanto lavoro da fare, negli ambiti della istituzione di cattedre di arte, filosofia dell’arte, estetica nelle Facoltà di Filosofia, e cattedre di Teologia dell’arte, Arte sacra e Storia dell’arte cristiana nelle Facoltà di Teologia e Liturgia, ed anche nell’ambito giuridico insegnamenti del diritto nelle questioni dell’arte sacra e della liturgia, ed anche, nell’ambito missiologico, insegnamenti sul rapporto tra cristianesimo e altri “sistemi d’arte” legati ad altre tradizioni religiose.

La generale trascuratezza dell’aspetto artistico nella formazione filosofico-teologica, viene in genere attribuita a due fattori principali, il primo fa riferimento alla opportunità e l’altro alla competenza di tali insegnamenti. La questione della opportunità – e cioè l’interrogativo se sia opportuno inserire tali insegnamenti nei curricula – si colloca nell’orizzonte di una visione efficentista della formazione del clero e del popolo di Dio, si dice cioè che i seminaristi, avendo innumerevoli cose cui attendere, non hanno tempo da dedicare all’arte, considerata marginale e meno utile.

La questione della competenza – e cioè la domanda se la Chiesa possieda competenze in ambito artistico – invece presuppone, implicitamente e surrettiziamente, che l’arte abbia un suo proprio statuto autonomo e dunque non possa istituire relazioni sostanziali con il cristianesimo. Entro questo presupposto, non servirebbe formare artisti e clero alle questioni estetiche e artistiche, perché sarebbe sufficiente accogliere quanto si produce in ambito artistico nel mondo, indipendentemente dalla fede cristiana, e infiltrarlo dentro il discorso cristiano. Secondo questa posizione, la Chiesa non avrebbe competenze proprie da rivendicare nell’ambito dell’arte, neanche quella sacra, ma dovrebbe solo ascoltare quello che il mondo produce, senza intervenire.

In verità, proprio i documenti del Magistero, in primis la Sacrosantum Concilium, ma anche il Catechismo della Chiesa Cattolica e persino il Codice di Diritto Canonico, propongono visioni che superano entrambe le questioni, se correttamente letti. Un primo dato su cui riflettere è che la questione dell’arte viene sovente ridotta solo a una questione stilistica, trascurando tutti i suoi complessi e ramificati livelli di studio, dimenticando le discipline elaborate nel corso del tempo per affrontare in maniera olistica un fenomeno complesso quale il mondo delle arti.

Da questo primo riduzionismo, deriva una serie connessa di errori di valutazione, teoretici e pratici, fino a portare la questione a una situazione di stallo. Di fatto, si è diffusa una visione materialista che vede la bellezza non come la gloria della santità, secondo la tradizione cristiana,  ma come una manifestazione di ricchezza e di potere, e dunque come un peccato, come una sottrazione di denaro a questioni più importanti. Sicuramente contribuiscono alla confusione alcuni manuali di storia dell’arte, impostati male ma molto diffusi.

Invece occorre sempre ricordare la relazione ontologica tra vero, bene e bello, ribadita da tutti i documenti conciliari, e che dovrebbe essere alla base della didattica e della produzione d’arte. Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ed ora Papa Francesco hanno sempre ribadito e ribadiscono la triade metafisica di vero, bello e buono. Questo legame ontologico tra vero, bello e buono andrebbe pensato fino in fondo, inserendolo nell’orizzonte del rapporto Fides et Ratio e legandolo alla questione dei “valori non negoziabili”. Infatti, la bellezza è, al pari del vero e del bene, non negoziabile.

Questa visione integrale dell’essere, supera i modelli contemporanei relativistici, riduzionisti,  ancor peggio anti-umani, inumani. L’intero va perseguito educando il ragionamento alla verità mentre si educa alla scelta del bene. E l’affermazione alla verità necessita della strada della bellezza. Mentre si educa alla bellezza, si educa anche al bene e alla verità. Una tale bellezza, legata alla verità e al bene, può affermare Cristo.

Ne deriva l’urgenza di riflettere sulla questione delle arti, le quali a loro volta hanno il compito di parlare la lingua della bellezza. Con l’affermazione della bellezza dell’arte, occorrerebbe una vera e propria riorganizzazione della formazione di tutta la comunità ecclesiale, includendo le questioni artistiche, che rafforzano e sostengono la formazione in quanto tale, aiutando l’educazione alla verità e alla bellezza.

Per affrontare in modo adeguato la nuova evangelizzazione, è necessario comprendere come l’arte sia nodale, in quanto è il medio che unisce la fede con la ragione. Per questo motivo, è lo strumento più usato nei secoli passati per l’annuncio di Cristo, per la formazione catechetica e morale, per l’educazione al bello, al bene e al vero, come ausilio per la preghiera, per la meditazione ed infine come sommo mezzo caritativo.

Impostata la questione educativa e formativa, risulta maggiormente chiara la questione di un’arte che sappia parlare di Dio. Una espressione usata più volte da Papa Francesco può aiutarci nella riflessione: egli ha detto “Dio non è uno spray”. Dio non è “un dio diffuso, un dio-spray, che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia”[1]. Ebbene serve un’arte che vada oltre un dio spray, un’arte che non si riduca a una visione nichilista o panteista del mondo, come sovente accade in alcune correnti artistiche contemporanee quali “Arte Povera”, “Concettuale”, “Pop”, “Decostruttivismo” …, ma serve un’arte che con la bellezza sappia confessare Cristo, ricordando sempre che se non si confessa la croce di Cristo si confessa la mondanità del demonio.

[Articolo pubblicato su Zenit il 13 maggio 2013]

[1]  Cfr. per esempio http://www.tempi.it/dio-non-e-uno-spray-con-una-sola-parola-papa-francesco-ha-fregato-il-diavolo#.UYod0qJNQhs

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