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Cos’è la Nuova Evangelizzazione?

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Clément SACCOMANI/CIRIC

Aleteia - pubblicato il 04/12/12

Com'è nata l'idea di una “nuova evangelizzazione”, che sembra quasi un pleonasmo, dato che l'idea di novità è intimamente legata a quella del Vangelo, Buona Novella? Come si potrà concretizzare in relazione alle altre attività della Chiesa? Non corre il rischio di diventare un altro slogan o luogo comune, occultando le iniziative e le pratiche pastorali più varie?

Le origini storiche della Nuova Evangelizzazione.

Appena eletto papa con il nome di Giovanni XXIII, il cardinale Angelo Roncalli annunciò l’intenzione di convocare un Concilio Ecumenico per il rinnovamento, l’“aggiornamento”, nella Chiesa. Inaugurò il Concilio Vaticano II cinquant’anni fa, con un discorso in cui interpretava positivamente la storia, manifestazione di Dio, e affermava la perennità della fede, nonostante la relatività delle sue espressioni nei tempi e nelle culture più varie. Era una grande novità, poiché la Chiesa, che dal Medioevo si era caratterizzata per un movimento di progressiva centralizzazione conservatrice e uniformità dogmatica, liturgica e morale, passava a mostrarsi sensibile ai mutamenti storici e culturali.

È  stato così nei primi tempi con il cristianesimo, che si lasciò influenzare dall’ellenismo, superando la tradizione ebraica. Giovanni XXIII paragonò per questo il Concilio a una nuova Pentecoste: lo Spirito apriva per la Chiesa un nuovo cammino di libertà, che è per natura fonte di rinnovamento e di diversità. Alla chiusura del Vaticano II, l’8 dicembre 1965, si era conquistato il principio per il quale era necessario e possibile cambiare e diversificare le forme religiose in cui si incarnava la vita di comunione con Dio, offerta a tutti gli esseri umani, nella Chiesa.

Tutti gli uomini, di tutte le epoche e culture, senza smettere di essere ciò che sono, hanno accesso alla salvezza offerta da Cristo a tutta l’umanità, ma l’universalità di salvezza implica una grande diversità nei modi di viverla, diversità fino ad allora assai temuta dalla Chiesa. Nel frattempo, aperta la porta alla diversità, si è assistito, nell’immediato post-Concilio, a un brulichio di teologie e di progetti pastorali, nelle direzioni più diverse. È stato allora necessario, alla morte di Giovanni XXIII, nel 1963, che il suo successore, Paolo VI, difendesse ed esigesse la fedeltà di tutti alla Chiesa, per garantire l’unità ed evitare la prevalenza della diversità mediante l’appello al legame ecclesiale dell’unità.

Alla fine degli anni Settanta, si sentiva fortemente la necessità di trovare nuove vie, che unificassero in profondità l’azione di tutta la Chiesa. Essendo il cardinale Albino Luciani, eletto papa con il nome di Giovanni Paolo I, sopravvissuto solo pochi giorni, venne eletto per succedergli il cardinale Karol Wojtyła, con il nome di Giovanni Paolo II. Nel 1978 si inaugurò uno dei più lunghi pontificati della storia, durato 27 anni.

Non si mette in dubbio la fedeltà del nuovo papa al Vaticano II, ma era anche evidente la sua sfiducia nei confronti delle novità teologiche e pastorali sorte nel post-Concilio, nonché la sua inclinazione a lasciarsi guidare dalla tradizione millenaria della Chiesa, il che portò alcuni autori più propensi alle novità a denunciare, nella Chiesa, un presunto “ritorno all’antica disciplina”. Nessuno, ad ogni modo, contesta il carisma del vigoroso papa di 58 anni. La sua azione è decisamente volta al futuro. È convinto di doversi impegnare a fondo nella realizzazione del progetto del Vaticano II in continuità con la Tradizione e affronta positivamente i problemi, non solo della Chiesa, ma di tutto il mondo contemporaneo.

In questa prospettiva, propone una ripresa della Chiesa a partire dalle sue origini soprannaturali, una “nuova evangelizzazione”. Utilizza per la prima volta questa espressione nella visita alla sua terra natale, nel 1979, e la universalizza, per così dire, nel discorso pronunciato nell’assemblea del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) a Port-au-Prince, nel 1983. Non che avesse un’idea esatta di ciò che significava “nuova evangelizzazione”. Non si trattava di una teoria, di una visione chiara di quello che si doveva fare. Era una direzione che la Chiesa doveva seguire. Intuizione di pastore, che doveva determinare una direzione, per dare nuovo impulso alla missione evangelizzatrice. Evangelizzazione, diceva il papa, nuova, con “nuovo ardore, nuovi metodi e nuove espressioni”. Era una sorta di parola profetica, trasmessa come una sfida da esplorare sia nelle sue basi teoriche che nelle sue applicazioni pastorali.

LINK:

Giovanni XXIII, Gaudet Mater Ecclesia, discorso inaugurale del Concilio Vaticano II

La “natura” della Nuova Evangelizzazione.

Uno dei primi frutti, e forse il principale, della 13ª Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2012 sulla Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana è  l’analisi del concetto di nuova evangelizzazione. Dai Lineamenta e attraverso tutto l’Instrumentum Laboris si nota la preoccupazione, se non di definire nel senso scritto, almeno di caratterizzare cosa intendere per Nuova Evangelizzazione. La risposta si trova nei primi sei paragrafi del Messaggio al popolo di Dio del 26 ottobre e nelle nove Proposizioni, dalla 4ª alla 12ª, che compongono il primo paragrafo del documento pubblicato ufficiosamente in inglese, intitolato Natura della Nuova Evangelizzazione.

“I Padri Sinodali riconoscono l’insegnamento del Vaticano II come strumento vitale per la trasmissione della fede, nel contesto della Nuova Evangelizzazione”, conclude il primo paragrafo delle proposizioni (Proposizione 12). Dichiarazione che va molto più lontano di quanto sembri a prima vista. Implica il riconoscimento, da parte dell’assemblea sinodale, del fatto che la NE è in continuità con il rinnovamento operato dal Vaticano II. Dietro a questo riconoscimento c’è l’interpretazione per cui l’impulso rinnovatore del Vaticano II ha la sua origine non nella Chiesa né nel mondo, ma nell’accoglienza della Parola, nell’atto di credere.

È  la risposta che già era stata data nel Catechismo della Chiesa Cattolica, determinato dall’Assemblea straordinaria del Sinodo del 1985. Il Catechismo, per essere fedele al Vaticano II, optò per la presentazione delle verità della fede non in sé, in funzione unicamente del suo contenuto, come si era fatto nel 1566 nel Catechismo tridentino, ma per la sua presentazione nella duplice prospettiva del disegno di Dio e del libero atto di credere. Per questa ragione, si è creata in ogni parte una prima sessione, che colloca in prospettiva la trasmissione delle verità della fede nelle quattro parti classiche del Catechismo: il Credo-Crediamo, l’atto di credere, nella prima parte, il mistero dell’economia sacramentale nella seconda, la vita nello Spirito, per la pratica dei comandamenti, e il senso della preghiera nella vita cristiana per l’ultima parte.

Come il Catechismo vent’anni fa, la NE è in perfetta continuità con il Vaticano II. Il primo paragrafo delle Proposizioni parte dalle origini trinitarie della Chiesa, che è partecipazione alla vita della Trinità, “fonte della Nuova Evangelizzazione” (Proposizione 4), come ha proclamato il Concilio, riconoscendo la Chiesa come “strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG, 1), ovvero “un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (LG, 4), come aveva già detto Cipriano di Cartagine (†258).

Da questo primo principio derivano due conseguenze fondamentali: “il primato della grazia di Dio” e l’universalità della salvezza. Lungi dall’essere un’attività di diffusione della religione cattolica, di proselitismo, la NE è chiamata ad essere presente in tutte le culture (Proposizione 5), come “proclamazione del Vangelo” (Proposizione 6), corrispondendo al “carattere missionario permanente e universale” della Chiesa (Proposizione 7).

Consiste, quindi, nel “testimoniare il Vangelo nel mondo secolarizzato in cui viviamo” (Proposizione 8), a partire dal “primo annuncio preminente ed esplicito della salvezza” (Proposizione 9), che è “dovere di ogni cristiano e, allo stesso tempo, diritto inalienabile di ogni persona di conoscere Gesù Cristo e il Vangelo” (Proposizione 10), il che è inseparabilmente legato alla “familiarità con la Scrittura, la Parola di Dio” (Proposizione 11).

Parallelamente, nel loro Messaggio al mondo, i Padri Sinodali partono dall’incontro personale con Gesù, vissuto dalla samaritana (Messaggio, 1), a cui invitano “gli uomini e le donne del nostro tempo” (Messaggio, 2), perché questo incontro è l’esperienza fondamentale della vita cristiana nella Chiesa (Messaggio, 3), da alimentare con la frequente lettura delle Scritture (Messaggio, 4). Siamo così portati a convertirci, a lasciarci evangelizzare (Messaggio, 5), consolidando la nostra adesione a Dio, mediante Gesù Cristo, e diventando capaci di trasmetterla in tutte le circostanze e le  occasioni della nostra vita (Messaggio, 6).

LINK:

Lineamenta del Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione

Instrumentum Laboris del Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione 

Messaggio finale del Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione

Proposizioni del Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione (testo non ufficiale)

Fondamenti e pratica della Nuova Evangelizzazione.

Sia il Messaggio che le Proposizioni si estendono subito a una serie di considerazioni di ordine pratico e pastorale di cui tener conto nell’applicazione concreta del progetto neo-evangelizzatore. Il lavoro di sistematizzazione è lasciato al Santo Padre, che dovrà riprendere gli elementi proposti dall’assemblea nell’attesa Esortazione apostolica.

Alcuni assi fondamentali, tuttavia, possono essere confermati già da ora, partendo da tutta la letteratura sulla NE, iniziando da ciò che ha scritto e detto Benedetto XVI, in particolare nella proclamazione dell’Anno della Fede, nel ciclo di catechesi sulla fede, che ha inaugurato quest’anno, nella sua quarta enciclica sulla fede, annunciata per la Pasqua 2013, e nelle molte occasioni che hanno suscitato l’approfondimento della riflessione sul tema.

Non c’è dubbio che alla base della NE ci sia l’incontro personale con Cristo, come esperienza fondamentale, a segnare tutto il quadro della nostra vita quotidiana. Siamo tutti chiamati a vivere sempre e in ogni circostanza come amici di Gesù e a fare di questa amicizia personale il clima della nostra esistenza. Non essendo il cristianesimo né solo una filosofia di vita né una pura morale, ma un’amicizia personale con Gesù e con ciascuna delle Persone della Trinità, la fede è innanzitutto il legame personale di adesione a Dio e alla sua Parola, nello Spirito.

L’atto di credere, essendo dono personale di Dio e atto di libertà, ha priorità sul contenuto della fede, costituito dalle espressioni che si riferiscono al vivere la relazione personale che le sostiene. Nei termini del Catechismo (n. 150), “la fede è una adesione personale dell’uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l’assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato”. Promulgando l’Anno della Fede, Benedetto XVI ci invita a “comprendere in modo più profondo non solo i  i contenuti della fede, ma insieme a questi anche l’atto con cui decidiamo di affidarci totalmente a Dio, in piena libertà” (Porta fidei, 10).

Bisogna quindi distinguerli, ma per unirli. “Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. L’apostolo Paolo permette di entrare all’interno di questa realtà quando scrive: ‘Con il cuore… si crede… e con la bocca si fa la professione di fede’ (Rm 10,10). Il cuore indica che il primo atto con cui si viene alla fede è dono di Dio e azione della grazia che agisce e trasforma la persona fin nel suo intimo” (Idem).

Il fondamento della NE è allora l’atto di credere, che è dono di Dio, risvegliato dall’incontro personale con Gesù, che i discepoli sono chiamati a preparare – come Filippo e Andrea hanno guidato i greci di cui parla Giovanni che volevano vedere Gesù (12, 22). La funzione del primo annuncio è quella di favorire questo incontro, e quindi la sua importanza centrale nella NE.

In realtà, il “primo annuncio” non si limita al kerigma iniziale, che smetterebbe di essere attivo quando inizia la catechesi. Tutta la formazione cristiana deve essere costantemente animata dal risveglio dell’atto del credere, senza il quale il contenuto della fede non si sostiene, per l’unità profonda che esiste nella fede tra l’atto di credere e il contenuto delle verità rivelate.

Le NE non è dunque un compito specifico, né un momento determinato della trasmissione della fede, ma l’anima che mantiene viva la catechesi, lo spirito in cui la Parola è effettivamente accolta, il clima in cui la Parola di Dio deve essere sempre, nella Chiesa, proclamata e insegnata. Il progetto pastorale di Benedetto XVI, che chiamiamo “Nuova Evangelizzazione”, in continuità con il Vaticano II, sempre ripreso dalla Chiesa in questi ultimi cinquant’anni, è ciò che lo Spirito suggerisce alla Chiesa, affinché resti la sua sposa fedele in un mondo che tende a dimenticarsi di Dio.

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